Caduta dell’ospite dell’albergo per cedimento del parapetto. Responsabilità dell’AD e del RSPP
Cassazione Penale, sentenza n. 24822 del 25 giugno 2021 – Caduta dell’ospite dell’albergo per cedimento del parapetto. Responsabilità dell’AD e del RSPP che omette di segnalare, nel nuovo DVR, il rischio già correttamente indicato in un DVR precedente.
La Corte d’appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Livorno, con la quale S.M. e D.P.P. (quest’ultimo indicato in dispositivo con nome diverso, successivamente corretto l’errore materiale con ordinanza del 2/8/2019) sono stati condannati – nelle rispettive qualità di amministratore delegato e legale rappresentante della P. A. s.r.l., che aveva in affitto e gestiva l’albergo “Villa O.” in forza di un contratto stipulato nel 2007 e di responsabile dei servizi di prevenzione e protezione per detta società sin dal 1999 – per il reato di cui agli artt. 41, 113 e 589 cod. pen. ai danni di un ospite dell’albergo, T.P., deceduto a seguito di una caduta per cedimento del parapetto del terrazzino della stanza in cui alloggiava (in Piombino il 21.10.2013).
In particolare, si è contestato al primo di non avere sollecitato la società proprietaria, della quale era anche socio, a eseguire gli interventi di manutenzione straordinaria per mettere in sicurezza i parapetti delle stanze del secondo piano della struttura, tra le quali vi era quella occupata dalla vittima e di non aver disposto la manutenzione ordinaria degli stessi, né supervisionato adeguatamente tale manutenzione; al secondo, di non aver individuato, nell’ultimo DVR del 2013, il rischio di caduta nel vuoto dal terrazzino della camera occupata dalla vittima, rischio presente sia per il modo in cui il parapetto era realizzato, sia per lo stato degli ancoraggi al muro, e per non aver prescritto, né segnalato alla P. A. s.r.l. la necessità di intervenire su tale parapetto.
2. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorsi i due imputati con separati atti e difensori.
2.1. Ricorso nell’interesse dell’imputato S.M..
Questa difesa ha formulato tre motivi.
Con il primo, ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 521 cod. proc. pen., per difetto di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto e conseguente nullità della sentenza per lesione dei diritti di difesa.
Rileva la difesa che, nei confronti del S.M., si è passati dalla contestazione di una condotta commissiva, contenuta nel capo d’imputazione (manutenzione carente e inappropriata e mancata supervisione della stessa) a quella omissiva della mancata segnalazione dei problemi alla proprietà e della mancata messa in sicurezza.
Con il secondo, ha dedotto analogo vizio, oltre a vizio della motivazione, questa volta con riferimento alla individuazione della posizione di garanzia, in relazione alla quale rileva che i giudici non avrebbero effettivamente distinto tra quella astrattamente riconducibile all’imputato e quella ricoperta da altre figure, alle quali assume essere stati in concreto trasferiti, con una delega implicita di funzioni, i relativi obblighi (trattasi del manutentore P. e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione D.P.P.).
Con il terzo, infine, si sono dedotti analoghi vizi con riferimento alla interruzione del nesso causale tra la condotta ascritta al S.M. e l’evento mortale, atteso che il S.M. non avrebbe potuto sapere che vi era la necessità dell’intervento manutentivo omesso e, di conseguenza, non poteva omettere di supervisionare una mancanza da lui non conosciuta, dovendosi invece considerare le condotte che si sarebbero frapposte tra quella ascritta al S.M. e l’evento, vale a dire la sorveglianza diretta che spettava ai preposti i quali, a seguito delle continue ispezioni operate, dovevano conoscere le eventuali carenze.
2.2. Ricorso nell’interesse dell’imputato D.P.P.:
Anche questa difesa ha formulato tre motivi.
Con il primo, ha dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione nella parte in cui i giudici hanno ritenuto la penale responsabilità del titolare della azienda e del manutentore per non avere il primo disposto e il secondo materialmente effettuato la manutenzione corretta del terrazzino, pur avendo conosciuto il pericolo sin dal 2007 e, al contempo, anche quella del D.P.P. per non avere reiterato la specifica segnalazione già contenuta nel DVR redatto nel 2007, precisando che la responsabilità dei coimputati era fondata sulla loro piena conoscenza e consapevolezza delle problematiche che riguardavano il parapetto incriminato.
Con il secondo, ha dedotto violazione di legge in relazione alla verifica del nesso causale nel reato omissivo, difettando il giudizio controfattuale che, nella specie, doveva rispondere alla domanda se l’evento sarebbe stato evitato ove la rilevazione di quel rischio fosse stata reiterata anche nel DVR del 2013. A tal fine, la difesa rileva che, nonostante l’avvenuta segnalazione nel documento del 2007, il S.M. non era intervenuto con la manutenzione della struttura nella parte d’interesse e che erano imminenti lavori globali di ristrutturazione che dimostravano la consapevolezza del problema da parte del titolare della società e del manutentore.
Infine, con il terzo motivo, ha dedotto vizio della motivazione con riferimento alla mancata risposta ai primi due motivi d’appello. Quanto al primo, per l’appunto, si era rilevata la mancanza del giudizio controfattuale di cui si è già detto; quanto al secondo, si era evidenziata la contraddittorietà della motivazione con la quale il giudice di primo grado aveva ritenuto la penale responsabilità dei tre imputati (ivi compreso,· cioè, il mantentore P.), senza spiegare come fosse conciliabile quella del S.M. con il ruolo svolto dagli altri due garanti, come già evidenziato nella esposizione del secondo motivo di ricorso.
3. In data 17/12/2020 sono pervenuti motivi nuovi nell’interesse del S.M., con i quali la difesa ha sviluppato le proprie argomentazioni riguardo al difetto di correlazione tra accusa e sentenza, rilevando, sotto altro profilo, che il RSPP aveva evidenziato che le opere e i lavori indicati nel 2007 erano stati realizzati e completati e, quindi, non erano stati nuovamente indicati nel 2013.
Propone, poi, un motivo aggiunto con il quale insta affinché vengano estese al S.M. le conclusioni rassegnate dal perito d’ufficio in punto di mancato avviso del rischio di caduta nel vuoto.
Quanto, invece, al tema della posizione di garanzia ricoperta, la difesa riprende l’argomento della delega al dipendente P. e al RSPP D.P.P., ritenendo, rispetto al secondo, l’assunzione di fatto del ruolo di responsabile della sicurezza, dovendosi, peraltro, presumere che alla segnalazione nel DVR del 2013 del problema, avrebbe fatto seguito l’adozione di iniziative datoriali per neutralizzare il rischio.
Infine, ha sviluppato le argomentazioni a sostegno del terzo motivo, concludendo nel senso che l’errato fissaggio delle viti del parapetto avrebbe costituito l’unica causa autonoma immaginabile e indipendente del distacco e dell’evento morte.
4. Con successiva memoria pervenuta il 8 gennaio 2021, la difesa ha ripreso le svolte argomentazioni difensive, concludendo per l’accoglimento delle stesse e dei motivi aggiunti.
5. Il procedimento, già fissato per l’udienza del 14 gennaio 2021, è stato rinviato su istanza dell’avv. P. F. per intempestiva comunicazione delle originarie conclusioni del Procuratore generale.
6. Il Procuratore generale, in persona del sostituto F. M., ha rassegnato nuove conclusioni scritte per l’udienza del 10 marzo 2021, a norma dell’art. 23 c. 8, decreto legge n. 137 del 2020, chiedendo il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di S.M. e di D.P.P..
7. Il difensore dell’imputato S.M. ha rassegnato conclusioni scritte con le quali, ulteriormente sviluppate le proprie argomentazioni, ha chiesto l’annullamento e la declaratoria di nullità della sentenza impugnata e il rigetto del ricorso D.P.P., in conformità alla richiesta del Procuratore generale.
8. La difesa dell’imputato D.P.P. ha depositato memoria scritta con la quale, rilevata la mancanza di motivazione delle conclusioni del Procuratore generale, ha richiamato il contenuto del ricorso e chiesto l’annullamento della impugnata sentenza
1. I ricorsi sono inammissibili.
2. Deve premettersi che non vi è contestazione sulla dinamica dell’evento (che peraltro è stata puntualmente ricostruita nelle due sentenze di merito, in cui si è precisato che il parapetto incriminato aveva ceduto poiché sul lato sinistro la staffa era fuoriuscita dal muro, mentre sul lato destro erano uscite le viti di ancoraggio); né sul tipo di manutenzione omessa, quella ordinaria, cioè, spettante al gestore. Infatti, è incontestato che gli interventi di manutenzione straordinaria, spettanti alla ditta proprietaria, riguardavano solo l’altezza insufficiente dei parapetti. Tale caratteristica, tuttavia, non aveva giocato un ruolo causale sulla caduta della vittima, la quale era stata diretta conseguenza di altri fattori, tutti riconducibili alla manutenzione ordinaria (in particolare: inadeguatezza delle viti utilizzate per l’ancoraggio, siccome prive di bulloni; progressiva perdita di resistenza delle tavole di legno, a causa dei plurimi fori praticati nei vari tentativi di fissaggio; ancoraggio delle staffe all’interno del muro, e non all’esterno, con conseguente minore resistenza alla pressione orizzontale). Inoltre, la Corte ha precisato che le carenze manutentive erano grossolane e gravi, come documentato dai rilievi fotografici effettuati, e che semplici interventi a basso costo avrebbero scongiurato l’incidente.
Il tema sul quale, invece, vi è contestazione riguarda in primo luogo la individuazione delle posizioni di garanzia, in relazione allo specifico rischio, e la verifica del nesso causale tra le condotte contestate e l’evento verificatosi.
Sul punto, la Corte di merito ha precisato che al S.M. andava ascritta la responsabilità più grave, siccome amministratore delegato e legale rappresentante della società che da moltissimi anni conduceva in locazione l’immobile. Le condizioni fatiscenti del parapetto incriminato erano conosciute dall’imputato, alla stregua delle evidenze raccolte: in primo luogo, nel DVR redatto dal D.P.P. nel 2007 si parlava espressamente di tali problemi; inoltre, era stato ipotizzato da tempo un intervento globale di manutenzione straordinaria, indicativo della diffusa consapevolezza delle inadeguatezze della struttura e della colpevole inerzia della società conduttrice, la quale aveva omesso di effettuare gli interventi minimi, in attesa di quelli definitivi gravanti sulla proprietà.
Quanto al D.P.P., la Corte di merito ha ritenuto sconcertante la circostanza che costui, tenuto nella qualità a individuare i fattori di rischio, avesse omesso di indicare nel DVR del 2013 i problemi (necessità di irrobustimento delle ringhiere dei balconi) che aveva invece segnalato nel 2007, ritenendo irrilevante la circostanza che nel 2013 sembrava imminente un intervento globale di ristrutturazione che proprio il D.P.P. avrebbe dovuto progettare. Proprio tale consapevolezza, secondo i giudici d’appello, avrebbe reso ancor più evidente, nelle more dell’intervento, il rischio specifico.
3. Tutti i motivi formulati nell’interesse del S.M. sono manifestamente infondati.
3.1. Il primo motivo propone una interpretazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza del tutto eccentrica rispetto al costante indirizzo ermeneutico dei giudici di legittimità. Ai fini della sussistenza di una violazione del principio di correlazione di cui all’art. 521 cod. proc. pen., infatti, non è sufficiente qualsiasi modificazione dell’accusa originaria, ma è necessaria una modifica che pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. Pertanto, la violazione non sussiste quando nel capo di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto successivamente ritenuto in sentenza, da intendersi come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica da parte della legge penale, che spetta al giudice individuare nei suoi esatti contorni (cfr. sez. 5 n. 7984 del 24/9/2012, dep. 2013, RV. 254648). Tali principi sono coerenti con quelli costituzionali racchiusi nella norma di cui al novellato art. 111 Costituzione, ma anche con l’art. 6 della Convenzione E.D.U., siccome interpretato, in base alla sua competenza esclusiva, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, a partire dalla nota pronuncia Drassich c. Italia (cfr. CEDU 2 sez. 11 dicembre 2007); ma anche, più di recente, con la pronuncia del 22 febbraio 2018, Drassich c. Italia (n.2), con la quale la Corte di Strasburgo ha escluso la violazione dell’art. 6 cit. nel caso in cui l’interessato abbia avuto una possibilità di preparare adeguatamente la propria difesa e di discutere in contraddittorio sull’accusa alla fine formulata nei suoi confronti.
Nel caso in esame, è evidente come difetti una lesione del diritto di difesa, alla cui salvaguardia il principio di correlazione è direttamente funzionale, non riuscendosi neppure ad apprezzare un rapporto di eterogeneità del fatto ritenuto rispetto a quello contestato (sez. 6, n. 10140 del 18/2/2015, Bossi e altro, Rv. 262802), non soltanto perché la difesa ha approntato la sua difesa proprio con riferimento alla inadeguatezza degli interventi minimi di manutenzione ordinaria sul parapetto in questione, ma anche perché tale condotta è descritta chiaramente nello stesso capo d’imputazione, laddove gli si contesta, per l’appunto, di aver predisposto una manutenzione carente e inappropriata, il che vale quanto dire che non erano stati effettuati, proprio da chi ne aveva l’obbligo, gli interventi che avrebbero scongiurato l’evento.
3.2. Quanto al secondo motivo, la sua manifesta infondatezza deriva ancora una volta dalla errata lettura dell’art. 16 del d. lgs. n. 81/2008 e dall’applicazione, altrettanto errata, dei consolidati principi ermeneutici che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato in ordine alle condizioni per ritenere valida una delega di funzioni.
La tesi difensiva muove dall’assunto secondo cui il titolare della società che gestiva la struttura alberghiera non poteva conoscere il dettaglio delle condizioni di vetustà della stessa, a tal fine essendosi giovato di un consulente per redigere il DVR e della check list degli interventi da effettuare, oltre che di un manutentore che operava ispezioni sui luoghi. Pertanto, a entrambi i soggetti, sarebbe stata rilasciata una sorta di delega implicita di funzioni che avrebbe esonerato il delegante dalle relative responsabilità.
Tuttavia, la parte omette di considerare, con specifico riferimento alla ripartizione degli obblighi di prevenzione tra le diverse figure di garanti, quanto precisato dal Supremo collegio di questa Corte: gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro (al quale, nella specie, va assimilato l’A.D. della società che gestiva la struttura alberghiera), infatti, possono essere sì trasferiti (con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante), a condizione che il relativo atto di delega ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008, sopra citato, riguardi un ambito ben definito e non l’intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (cfr. Sez. U. n.38343 del 24/4/2014, P.G., R.C., Espenhahn e altri, Rv. 261108). Anche più di recente, del resto, si è affermato il principio, diretto precipitato di quello richiamato, secondo cui, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela impostogli dalla legge per cui l’omessa applicazione di una cautela antinfortunistica è addebitabile ad ognuno dei titolari di tale posizione (cfr. sez. 4 n. 6507 del 11/1/2018, Caputo, Rv. 272464; già in precedenza, sez. 4 n. 18826 del 9/2/2012, Pezzo, Rv. 253850, in un caso in cui era stata dedotta l’esistenza di un preposto di fatto).
3.2.1. Inoltre, la mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione non costituisce una delega di funzioni e non è, dunque, sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (cfr. sez. 4 n. 24958 del 26/4/2017, Rescio, Rv. 270286, in cui la Corte ha precisato che il RSPP svolge un ruolo di consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro ed è privo di effettivo potere decisionale; cfr., sempre sulla possibilità che la posizione di garanzia esaminata concorra con altre, tra cui soprattutto, quella del datore di lavoro, anche sez. 4 n. 11708 del 21/12/2018, dep. 2019, David Marco, Rv. 275279; n. 40718 del 26/4/2017, Raimondo, Rv. 270765; n.49821 del 23/11/2012, Lovison e altri, Rv. 254094, in cui si è sottolineato il ruolo non operativo del RSPP).
3.2.2. La spiegazione che la Corte ha fornito in ordine alla posizione di garanzia, definita più grave, del S.M. è del tutto esaustiva e coerente con tali principi, avendo quel giudice correttamente evidenziato la consapevolezza della esistenza dei gravi problemi, la qualifica di operaio manutentore del P. e il diverso ruolo spettante al D.P.P., quale RSPP. Inoltre, proprio dalla circostanza che quest’ultimo aveva indicato espressamente nel DVR del 2007 le carenze dei parapetti alle quali è stato correlato l’evento e la circostanza che era stato ipotizzato da tempo un intervento globale di manutenzione, sono stati considerati dai giudici territoriali elementi comprovanti la consapevolezza diffusa dei problemi esistenti e la colpevole inerzia della società conduttrice nel porre mano a interventi interinali, anche minimi, nelle more dei futuri, più radicali interventi di ristrutturazione.
Inoltre, e conclusivamente, deve osservarsi che il conferimento a terzi della delega relativa alla redazione del documento di valutazione dei rischi, non esonera il datore di lavoro dall’obbligo di verificarne l’adeguatezza e l’efficacia (cfr. sez. 4, n. 22147 del 2016, Marini, Rv. 266859) e nemmeno può rilevare una scelta datoriale di delegare, eventualmente, allo stesso RSPP o all’operaio manutentore la decisione di operare gli interventi idonei a prevenire il rischio considerato, sia per difetto di valida delega in tal senso, per quanto già detto, ma anche perché trattasi di scelte proprie della figura datoriale e non di altre figure, quale quella meramente esecutiva dell’operaio manutentore o del RSPP, sul quale incombono obblighi diversi e, certamente, non di tipo operativo.
3.3. Dalla manifesta infondatezza del secondo motivo discende, peraltro, quella del terzo. Richiamati, infatti, i principi sopra esposti in ordine alla individuazione delle singole figure di garanti e alla necessità di una delega formale delle funzioni proprie di quella datoriale, del tutto impropriamente si è evocata la interruzione del nesso causale tra la condotta ascritta al S.M. e l’evento mortale occorso: la difesa assume, infatti, che tale rapporto si sarebbe interrotto a causa di un evento atipico e imprevedibile, la scelta, cioè, dell’operaio manutentore e del RSPP di intervenire sulla tavola di legno mediante un fissaggio errato delle viti che avrebbe causato il distacco e non la rottura della tavola di legno del parapetto. Al contrario, tali interventi, peraltro reiterati nel tempo, come evidenziato dai giudici d’appello (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata, laddove si dà conto della circostanza che sulle tavole erano stati praticati plurimi fori per precedenti tentativi di fissaggio che avevano indebolito la resistenza del supporto), dimostrano semmai quella “diffusa consapevolezza” dello stato di fatiscenza delle strutture, come del resto lo stesso RSPP aveva sin da subito (2007) evidenziato nel primo DVR. Di fronte a tali carenze, però, l’A.D. della società conduttrice ha scelto di non operare alcun intervento, anche a basso costo, per fronteggiare il segnalato rischio di caduta dall’alto, scegliendo di delegarne, in maniera tuttavia non confacente, per quanto sopra già detto, la risoluzione a terze figure.
Peraltro, non va dimenticato che, in tema di reati colposi omissivi impropri, l’effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto a qualunque circostanza che introduca un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare (cfr. sez. 4, n. 22691 del 2020, Romagnolo Bruno, Rv. 279513), tale non potendosi certamente considerare, nella specie, la circostanza che un dipendente o il consulente avessero effettuato interventi provvisori rispetto al rischio oggetto dell’obbligo di prevenzione, posto che tali interventi sono stati riconosciuti del tutto inadeguati rispetto al rischio di caduta dall’alto, per come segnalato nel DVR del 2007 e che, pertanto, essi non hanno introdotto un rischio diverso o eccentrico rispetto alla natura di quello già considerato.
4. Anche i motivi formulati nell’interesse dell’imputato D.P.P. sono manifestamente infondati e vanno trattati unitariamente, stante la unicità del presupposto fattuale che li accomuna, l’avere cioè l’imputato dato conto dei rischi di caduta dall’alto a causa delle condizioni di quel parapetto, tra gli altri, nel DVR del 2007 (anno al quale risale la stipula del contratto di locazione, in base al capo di imputazione). La difesa ha contestato, peraltro, che la mancata riproduzione di tale indicazione tecnica nel secondo DVR del 2013 possa di per sé fondare il titolo di penale responsabilità del RSPP, atteso che, nelle more, erano stati decisi lavori di intervento globale riguardanti la struttura.
4.1. Una premessa s’impone con specifico riferimento a tale peculiare figura di garante della sicurezza: il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del RSPP, ha l’obbligo giuridico di analizzare e individuare, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del d.lgs. n. 81/2008, all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati (cfr. Sez. U. n. 38343/2014 cit., Rv. 261109, in cui la Corte ha confermato il giudizio di colpevolezza dell’amministratore delegato, dei dirigenti aziendali e del responsabile del servizio di prevenzione e protezione per la morte di alcuni dipendenti provocata dalla mancata adozione di efficaci misure antincendio sottovalutate nel documento di valutazione dei rischi).
Anche successivamente si è chiarito che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro, privo di potere decisionale, risponde dell’evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato o omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate (cfr. sez. 4 n. 49761 del 17/10/2109, Mai Loris, Rv. 277877). In quella sede, la Corte di legittimità ha precisato che la figura di garante prevista dall’art. 31 del d.lgs. n. 81/2008 (in maniera solo eventuale, n.d.r.) si caratterizza per lo svolgimento, all’interno della struttura aziendale, di un ruolo non gestionale ma di consulenza, cui si ricollega un obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti, ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri. Ma si è anche precisato che la condotta cautelare richiesta dal legislatore a tale figura di garante trova il proprio contenuto essenziale in un processo intellettivo (individuazione e valutazione dei rischi), cronologicamente antecedente le fasi operative/esecutive che attengono alle decisioni e al controllo sullo svolgimento dell’attività lavorativa, che competono, invece, ad altre figure prevenzionistiche (tipicamente al datore di lavoro, ma anche al dirigente e al preposto). Vanno, dunque, tenuti nettamente distinti il piano intellettivo/valutativo (proprio del RSPP) da quello decisionale/operativo (proprio di altri garanti, principalmente il datore di lavoro) e, quando si parla di evento determinato da scelte esecutive sbagliate, deve ricordarsi che tali scelte non spettano al RSPP, il quale non è presente tutti i giorni in azienda e non è tenuto a controllare le fasi esecutive delle lavorazioni.
4.2. Fatta tale premessa, va rilevato che non coglie nel segno la difesa quando addita una insanabile contraddizione nell’avere i giudici territoriali ritenuto la penale responsabilità anche del S.M. sull’assunto che costui fosse stato reso edotto del fattore di rischio al quale erano correlate le misure prevenzionistiche non approntate (o malamente approntate): in base al ragionamento svolto, in sostanza, se il D.P.P., come emerso dall’istruttoria, aveva segnalato il rischio specifico nel DVR del 2007, la sua responsabilità non poteva essere agganciata alle scelte discrezionali proprie della società conduttrice di non operare interventi, pur minimi, nelle more della ristrutturazione globale che avrebbe dovuto riguardare la struttura alberghiera di che trattasi.
In realtà, la difesa confonde i due distinti piani nei quali vanno collocate le competenze proprie di ciascuna figura di garante. E infatti, la Corte territoriale, evidentemente conscia di ciò, ha agganciato la penale responsabilità del RSPP agli obblighi suoi propri, vale a dire alla mancata riproduzione, successivamente al documento del 2007 e, infine, nell’ultimo DVR, quello, cioè, del 2013, di quanto già correttamente indicato in quello originario, pur permanendo la stessa situazione di rischio originariamente considerata.
Posta tale premessa, è la tesi difensiva che – a causa di un mancato effettivo confronto con il ragionamento svolto dai giudici territoriali – finisce con il denunciare una intrinseca contraddizione, laddove si è ritenuto che la penale responsabilità del datore, siccome consapevole dello stato fatiscente dei parapetti, sarebbe inconciliabile con quella del RSPP che aveva segnalato la situazione di pericolo. Il D.P.P. era infatti tenuto a operare valutazioni tecniche e a restituire al proprio committente una fedele situazione dei rischi derivanti dall’utilizzo della struttura. Tale valutazione doveva tener conto di volta in volta degli sviluppi della situazione considerata, anche con riferimento agli eventuali interventi (risultati inadeguati) posti in essere per la messa in sicurezza dei balconi, alla stregua delle scelte gestionali dell’organo decisionale della società conduttrice, il quale ha ritenuto di continuare ad affidare a tali estemporanei interventi la soluzione dei problemi connessi al rischio di caduta dall’alto. Pertanto, la difesa ha omesso di considerare la comprovata persistenza della situazione di rischio già a suo tempo fotografata nel primo DVR, tale da fondare l’obbligo generico di segnalazione alla committenza, nonostante l’inerzia prolungata di quest’ultima, dei perduranti fattori di rischio che interessavano i balconi della struttura, tra i quali quello incriminato.
Quanto, poi, al giudizio controfattuale, questa stessa sezione ha già affermato che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro od anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (cfr. sez. 4, n. 32195/2010, Scag/iarini, Rv. 248555; n.15226 del 2007, Fusilli, Rv. 236170; n. 1834 del 2009, Guarnotta, Rv. 245999).
In particolare, il datore di lavoro, anche quando si avvale della consulenza di un RSPP, rimane titolare della posizione di garanzia, anche con riferimento alla valutazione dei rischi e alla elaborazione del DVR (tanto che la normativa di settore, mentre non prevede alcuna sanzione penale a carico del RSPP, punisce direttamente il datore di lavoro già per il solo fatto di avere omesso la valutazione dei rischi e non adottato il relativo documento). Tuttavia, ciò non esclude che possa profilarsi una (concorrente) responsabilità del RSPP il quale è tenuto ad adempiere i suoi obblighi con la ordinaria diligenza, e, sebbene non possa direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio, può essere ritenuto (cor)responsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare.
Né può fondatamente dubitarsi che l’omissione colposa (correlata al potere-dovere di segnalazione in capo al RSPP) finisce con interferire con la determinazione di attivarsi da parte dei soggetti chiamati a intervenire operativamente attraverso le relative scelte gestionali: con la conseguenza, quindi, che, qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro a omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, egli dovrebbe essere chiamato a rispondere insieme a questi in virtù del combinato disposto dell’art. 113 e 41, c. 1, cod. pen., dell’evento dannoso derivatone (cfr., in motivazione, sez. 4, n. 32195/2010 cit .).
La violazione di tali obblighi, quindi, va valutata con riferimento alla situazione esistente al momento dell’evento mortale verificatosi, rispetto al quale, in maniera del tutto coerente con i summenzionati principi, i giudici di merito hanno ritenuto il collegamento causale tra la mancata riproposizione della indicazione del perdurante rischio specifico nel nuovo DVR a prescindere dalla consapevolezza già ingenerata nel proprio committente, non potendosi attribuire la stessa valenza informativa a un DVR risalente o a un progetto di ristrutturazione che riguardava anche opere di manutenzione straordinaria, ma neppure agli eventuali interventi che il D.P.P. possa essere stato incaricato di approntare nelle more, unitamente al P., trattandosi di condotta che, anche ove dimostrata, sarebbe in ogni caso eccentrica rispetto agli obblighi descritti dall’art. 31 del d.lgs. n. 81/2008.
Va poi considerato – quanto al piano intellettivo/valutativo, nel quale vanno inquadrati compiti di tale peculiare figura di garante – che dalla istruttoria non è emerso, non avendolo giudici territoriali affermato, che nel DVR del 2007 o in quello del 2013 il D.P.P. avesse indicato la inadeguatezza degli interventi inappropriati, realizzati di fatto (per es., i plurimi fori sulle tavole di legno, indicativi di reiterati tentativi di fissare le tavole al muro), cosicché, anche sotto tale profilo, appare correttamente apprezzato il collegamento eziologico tra la colpevole, omessa segnalazione e la colpevole inerzia del committente (cfr., su tale aspetto, sez. 4 n. 2814 del 2010, Di Mascio, Rv . 249626).
5. Alla inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità (cfr. C. Cost. n. 186/2000).
P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Fonte: CassazioneWeb