Cassazione Penale, n. 46427 del 12 ottobre 2018 – Infortunio del dipendente dell’agenzia interinale

Infortunio del dipendente dell’agenzia interinale avvenuto durante l’uso di attrezzatura priva di adeguati dispositivi di protezione.

Con sentenza emessa in data 14 novembre 2016 il Tribunale di Varese dichiarava G.C. responsabile del reato ascritto e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di mesi due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Condannava l’imputato al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile che liquidava in complessivi euro 25.000,00. Al G.C. era contestato il reato di cui all’art. 590, comma 3, c.p. in relazione all’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 perché, nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della società F. G.C. s.p.a, con sede in Varese, cagionava per colpa, consistita in negligenza derivante dalla violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, lesioni personali a M.D., lavoratore alle dipendenze dell’agenzia interinale XYZ  s.p.a. ed assunto con mansioni di operaio sabbiatore con contratto di somministrazione presso la predetta società. In particolare all’imputato era addebitato di non avere assicurato alla persona offesa una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza riferiti alle mansioni, ai rischi, ai possibili danni e alle procedure di prevenzione e protezione e di non avergli messo a disposizione attrezzature conformi ai requisiti di cui all’art. 70, comma 2, del d.lgs. n. 81/08. In particolare, proprio a causa della mancata predisposizione di dispositivi di sicurezza sul macchinario denominato destaffatrice Slouiss sul quale stava lavorando M.D., quest’ultimo veniva colpito alla mano da un pezzo metallico del peso di circa 20 chilogrammi proiettato dal macchinario sul banco di lavoro e subiva lesioni personali consistite in “frattura composta F2 primo dito mano destra” con un periodo di malattia protrattasi per 68 giorni, con conseguente incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per analogo periodo di tempo.

La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 26 ottobre 2017, confermava la pronuncia di condanna penale mentre riformava i profili civilistici evidenziando che la consulenza tecnica prodotta dalla parte civile su cui si era fondata la determinazione del danno non forniva criteri certi e univoci circa il danno subito e rimetteva, pertanto, la liquidazione definitiva al giudice civile riconoscendo, tuttavia, in suo favore il pagamento di una provvisionale quantificata in euro 8.000, corrispondente all’ammontare del danno, ritenuto comprovato, sulla base di ragionevole presunzione, in relazione al periodo di inabilità permanente, ai postumi permanenti, anche minimi, e al danno morale.

Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione G.C. elevando i seguenti motivi.

Con il primo motivo deduce il vizio di violazione di legge e il vizio motivazionale rappresentando che è stata valutata la piena attendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa costituita parte civile, pur essendo emerse incongruenze nel suo narrato.

Evidenzia, in primo luogo, che, per quanto riferito dalla persona offesa, l’infortunio sarebbe avvenuto il 13 luglio 2010, verso le 10.00 – 11.00 del mattino mentre non risulta che alcun testimone abbia assistito al fatto tant’è che la società F. G.C. veniva informata dell’accaduto solo due giorni dopo, il 15 luglio, per via indiretta, ovvero tramite l’agenzia di lavoro interinale la quale, a sua volta, dovette verificare cosa fosse accaduto all’operaio. Peraltro il M.D., richiesto di indicare il nome del collega albanese che, a suo dire, avrebbe assistito all’infortunio, indicava G.D., dipendente della società F. G.C. s.p.a. assunto in epoca successiva all’infortunio.

Inoltre la persona offesa, pur dolorante, con un dito fratturato, avrebbe continuato a movimentare manualmente carichi di circa 20 kg ciascuno per l’intero turno e avrebbe prestato la sua attività lavorativa anche il giorno seguente, dopo essersi tolto il bendaggio che gli era stato apposto.

Infine, viene ritenuta irragionevole la versione dei fatti resa da M.D. anche in relazione all’ospedale prescelto per farsi curare (quello di Monza e non quello più vicino di Varese e nemmeno quello di residenza (Somma Lombardo), evidenziando che le giustificazioni fornite dall’imputato (ovvero il fatto di essere stato sfrattato dal luogo di residenza e di avere trovato ospitalità presso la Caritas) non hanno trovato riscontro negli atti del processo….. Scarica sentenza    Fonte CassazioneWeb

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