Cassazione Penale n. 8028 del 20 febbraio 2018 – Caduta dall’alto del lavoratore senza di dispositivo di protezione. Preposto
Il Tribunale di Spoleto condannò G.B. con sentenza del 29/09/2011 alla pena, condizionalmente sospesa, di anni uno e mesi nove di reclusione, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, in relazione al reato di cui all’art. 589, commi 1 e 2, cod. pen. (perché, quale direttore tecnico e di cantiere, e dunque di preposto dall’impresa appaltatrice, I A. S.r.l., che anche a seguito del subappalto continuava a essere presente sul cantiere, per negligenza, imprudenza, imperizia e violazione delle disposizioni in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, per non aver vigilato sulla attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro, e in particolare per non essersi accertato che i lavoratori indossassero le cinture di protezione e che fosse stata ripristinata la fune di sicurezza facente parte della linea di ancoraggio, costituita da tre paletti, di cui uno era stato rimosso, cagionava la morte di K.B., che, mentre era impegnato nei lavori di bonifica di una copertura in eternit, nell’afferrare un pannello da posizionare sopra tale copertura, perdeva l’equilibrio e cadeva a terra, precipitando da una altezza di circa otto metri e decedendo sul colpo), e anche in riferimento alla contravvenzione alle disposizioni in materia di sicurezza del lavoro di cui al capo c) della rubrica.
La Corte di Appello di Perugia, con sentenza del 6 novembre 2012, pronunziando sulla impugnazione dell’imputato, dichiarò non doversi procedere nei suoi confronti in relazione alla contravvenzione di cui al capo c), per essere la stessa estinta per prescrizione, e rideterminò la pena inflittagli per il residuo reato di omicidio colposo in anni uno e mesi quattro di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.
La Quarta sezione penale di questa Corte, pronunciandosi con la sentenza n. 43836 del 2014 sul ricorso dell’imputato, annullò tale sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze, rilevando che, secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, il G.B. era direttore tecnico e capocantiere per conto della I. A. S.r.l., società che aveva subappaltato alla C. S. i lavori che essa aveva acquisito dalla C. I., e che risultava ancora indistinta l’effettiva collocazione spettante all’imputato tra i soggetti debitori di sicurezza verso i lavoratori impegnati nel cantiere, mentre il riconoscimento di responsabilità in materia di prevenzione di infortuni sul lavoro presuppone la prova sicura dell’attribuzione delle funzioni o dell’ingerenza nell’organizzazione del cantiere.
Venne, dunque, evidenziata la mancanza dell’accertamento in merito alla effettiva posizione di garanzia assunta dal G.B. nel contesto dei lavori in questione, al di là delle qualifiche formali, sottolineando l’insufficienza della sola sollecitazione all’uso dei dispositivi di protezione come fonte di una colpa per assunzione, non essendo tale comportamento di per sé solo sufficiente ad integrare quell’ingerenza che la giurisprudenza di legittimità riconosce poter essere fonte d obblighi prevenzionistici.
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