Cassazione Penale – Omessa installazione di sistemi protettivi sul macchinario
Cassazione Penale n. 387 del 11 gennaio 2022 – Omessa installazione di sistemi protettivi sul macchinario. Responsabilità del datore di lavoro e illecito amministrativo dell’ente.
1. L.F., in proprio e quale legale rappresentante pro tempore della s.r.l. S. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale è stata confermata la pronuncia di condanna emessa in primo grado, in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen. perché, in qualità di datore di lavoro, non dotando la macchina indicata di idoneo riparo, atta a non consentire all’operatore di accedere alla zona pericolosa e non installando sul citato macchinario sistemi protettivi tali da consentire l’immediato arresto degli organi in movimento al momento dell’apertura del riparo, così da non permettere il contatto dell’operatore con l’organo lavoratore, cagionava al dipendente Q.S. lesioni personali da cui derivava una malattia superiore a giorni 40. E’ stata altresì dichiarata la responsabilità della s.r.l. S. in ordine all’illecito ammnistrativo di cui all’art. 25 septies d. lg. 231/01, dipendente dal predetto reato.
2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché erroneamente si è proceduto in primo grado con decreto di citazione diretta mentre per l’illecito amministrativo è prevista la celebrazione dell’udienza preliminare e il G.u.p. avrebbe potuto rilevare altresì il difetto di legittimazione a nominare il difensore dell’ente del legale rappresentante di quest’ultimo, che era in conflitto di interessi, essendo anch’egli imputato nello stesso processo penale. Né è imprescindibile la celebrazione del simultaneus processus.
2.1. È maturata la prescrizione del reato, poiché il difensore degli imputati ha rappresentato un impedimento della durata di un solo giorno, trattandosi di un impedimento di carattere professionale relativo alla sola data dell’udienza del 9 ottobre 2014, nella quale il difensore era già impegnato presso il Tribunale di Castelnuovo di Porto. Dunque non poteva essere disposta una sospensione della prescrizione per la durata di mesi 5. Avrebbe dovuto essere disposto un rinvio di durata non superiore a 60 giorni e il periodo di sospensione della prescrizione non avrebbe potuto eccedere l’effettiva durata dell’impedimento, aumentata di 60 giorni. Dunque la prescrizione era maturata non il 19-3-2015 ma l’8-12-2014 e cioè ancor prima che il giudice di secondo grado emanasse il provvedimento di fissazione dell’udienza d’appello e quindi prima della discussione del gravame.
2.2. E’ carente la motivazione in ordine alla responsabilità dell’imputato, poiché lo stesso lavoratore ha ammesso di aver errato nelle manovre e di aver commesso una sbadataggine. Si tratta dunque di una colpa della persona offesa, che esclude quella degli imputati, poiché tanto l’ente che il suo amministratore avevano preso ogni precauzione attraverso la nomina di responsabili della sicurezza, uno esterno e uno interno.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
1.Il primo motivo di ricorso è infondato. A norma dell’art. 34 d. lg. 8-6-2001, n. 231, nel procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo dell’ente, dipendente da reato, si osservano le disposizioni del codice di procedura penale, in quanto compatibili. E poiché, nel caso in esame, l’illecito amministrativo di cui all’ art. 25 septies dipende dal reato di cui all’art. 590 cod. pen., per il quale è prevista la citazione diretta, correttamente si è proceduto a citazione diretta anche per l’illecito amministrativo in esame, non essendo ravvisabile alcuna ragione di incompatibilità delle norme processuali concernenti la citazione diretta con il sistema della responsabilità amministrativa dell’ente delineato dal d. lg. n. 231 del 2001. D’altronde, come correttamente osservato dal giudice a quo, l’art. 38 d. lg. n. 231 del 2001 impone il simultaneus processus, salvi i casi indicati dall’art. 38, comma 2, dal novero dei quali esula la fattispecie concreta in esame.
D’altronde il modulo procedimentale adottato non ha avuto alcuna ripercussione sulla problematica inerente alla rilevabilità del difetto di legittimazione a nominare il difensore dell’ente del legale rappresentante di quest’ultimo, che era in conflitto di interessi, essendo anch’egli imputato nello stesso processo penale (Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Rv. 264311). Tale difetto di legittimazione avrebbe infatti potuto essere eccepito e rilevato anche in sede dibattimentale, dal tribunale in composizione monocratica adìto a seguito di citazione diretta, dovendosi però precisare che l’eccezione in disamina non avrebbe potuto essere sollevata dallo stesso legale rappresentante dell’ente che aveva proceduto alla nomina del difensore di quest’ultimo, pur essendo in conflitto di interessi, in quanto imputato nello stesso processo penale, avendo egli dato causa alla nullità, nell’ottica delineata dall’art. 182, comma 1, cod. proc. pen.
2. Il secondo motivo è fondato limitatamente alla posizione processuale del L.F. e non anche a quella dell’ente. Ad oggi, infatti, il termine di prescrizione è comunque maturato, non essendovi dubbi sull’ammissibilità del ricorso in esame. Nondimeno occorre dare atto della esattezza, sul piano giuridico, del rilievo formulato dal ricorrente, poiché Sez. U, n. 4909 del 18-12-2014, Torchio, ha condivisibilmente ritenuto che l’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisca legittimo impedimento, che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420-ter, comma 5, cod. proc. pen. Ne deriva il congelamento del termine di prescrizione fino a un massimo di sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento e non per tutto il periodo a cui si riferisce il rinvio. Nel caso in esame, non poteva pertanto sospendersi il termine prescrizionale dal 9-10-2014 al 19-3-2015 ma solo per 60 giorni a decorrere dalla data dell’udienza del 9-10-2014.
Va da sé, però, che l’effetto estintivo non si estende all’illecito amministrativo in contestazione, poiché l’art. 22, ult. co., d. lg. n. 231 del 2001 stabilisce che se l’interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente dal reato, come nel caso in disamina, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
3. L’ultimo motivo di ricorso è privo di fondamento. Compito del titolare della posizione di garanzia è infatti evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori subordinati, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele. Il garante non può, quindi, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia (Cass., Sez. 4., 22-10-1999, Grande, Rv. 214497). Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa in ordine all’assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore anche dai rischi derivanti dalle sue stesse imprudenze e negligenze o dai suoi stessi errori, purché connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa (Cass., Sez. 4, n. 18998 del 27-3-2009, Rv. 244005). Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 22622 del 29-4-2008, Rv. 240161). Nel caso in esame, il giudice a quo ha evidenziato che il teste L.V., tecnico della prevenzione della Asl, aveva riferito che la fresa doveva essere dotata di un sistema automatico che bloccasse il macchinario contestualmente all’apertura del riparo, così da impedire il contatto accidentale tra l’operatore e l’organo lavoratore. In senso conforme erano i rilievi formulati dalla Direzione territoriale del lavoro. Effettuare tali lavori sulla fresa avrebbe chiaramente comportato un esborso di danaro e dunque l’omissione di tale adempimento ha rappresentato per l’ente un vantaggio economico. Trattasi di motivazione puntuale, coerente, priva di discrasie logiche, del tutto idonea a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dai giudici e perciò a superare lo scrutinio di legittimità. L’impianto argomentativo adottato dal giudice a quo si riallaccia, d’altronde, al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il comportamento del lavoratore può essere ritenuto abnorme solo allorquando sia consistito in una condotta radicalmente, ontologicamente, lontana dalle ipotizzabili, e quindi prevedibili, scelte, anche imprudenti, del lavoratore, nell’esecuzione del lavoro (Cass., Sez. 4, n. 7267 del 10-11-2009, Rv. 246695). È dunque abnorme soltanto il comportamento del lavoratore che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro. Tale non è il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro assegnatogli (Cass., Sez. 4, n. 23292 del 28-4-2011, Rv. 250710) o che abbia espletato un incombente che, anche se inutile ed imprudente, non risulti eccentrico rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate, nell’ambito del ciclo produttivo (Cass., Sez. 4, n. 7985 del 10-10-2013, Rv. 259313). Da ciò consegue che non può essere ravvisata, nel caso di specie, interruzione del nesso causale. L’operatività dell’art. 41, comma 2, cod. pen. è infatti circoscritta ai casi in cui la causa sopravvenuta inneschi un rischio nuovo e del tutto incongruo rispetto al rischio originario, attivato dalla prima condotta (Cass., Sez. 4, n. 25689 del 3-5-2016, Rv. 267374; Sez. 4, n. 15493 del 10-3-2016, Pietramala, Rv.266786; Sez. 4, n. 43168 del 2013, Rv. 258085). Non può, pertanto, ritenersi causa sopravvenuta, da sola sufficiente a determinare l’evento, il comportamento imprudente di un soggetto, nella specie il lavoratore, che si riconnetta ad una condotta colposa altrui, nella specie a quella del datore di lavoro (Cass., Sez. 4, n. 18800 del 13-4-2016, Rv. 267255; n. 17804 del 2015, Rv. 263581; n. 10626 del 2013, Rv.256391). L’interruzione del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche. In questi casi, è configurabile la colpa dell’infortunato nella produzione dell’evento, con esclusione della responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, 27-2-1984, Monti, Rv. 164645; Sez 4, 11-2-1991, Lapi, Rv. 188202). Ma nulla di tutto ciò risulta nel caso in disamina, nel quale, pertanto, si esula dall’ambito applicativo dell’art. 41, comma 2, cod. pen.
4. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio nei confronti di L.F. perché il reato è estinto per prescrizione. Va invece rigettato il ricorso della S. srl, con conseguente condanna di quest’ultima al pagamento delle spese processuali.
PQM, Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di L.F. perché il reato è estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso della S. SRL, che condanna al pagamento delle spese processuali.
Fonte:CassazioneWeb