Cassazione Penale sentenza del 12 dicembre 2018 n. 55473 – Omissioni in materia di sicurezza.
Nessun documento di valutazione dei rischi, nessuna nomina di un RSPP, nessuna formazione ai dipendenti.
X.C. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la corte di appello di Perugia ha confermato quella del tribunale di Terni che aveva condannato la ricorrente alla pena di tre mesi di arresto per i reati cui agli articoli:
a) 29, comma 1, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 perché, nella qualità di titolare della ditta V. Confezioni, non effettuava la valutazione dei rischi e non elaborava il documento di cui all’articolo 17, comma 1, lettera a), in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente;
b) 17, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 81 del 2008, perché, nella qualità di cui al capo che precede, non designava il responsabile del servizio di prevenzione e protezione;
c) 37, commi 1 e 9, del decreto legislativo n. 81 del 2008, perché non assicurava una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza alla lavoratrice dipendente C.J.; non assicurava inoltre una adeguata e specifica formazione all’incaricato dell’attività di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio e di primo soccorso. In Terni il 30 luglio 2014.
Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente, tramite il difensore, articola tre motivi di gravame, di seguito enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, deducendo:
- violazione di legge con riferimento all’articolo 192 del codice di procedura penale nonché vizio di motivazione per travisamento e/o omessa valutazione delle risultanze processuali ed illogicità della motivazione, sul rilievo che la Corte di appello, nella parte motiva della sentenza, avrebbe dato atto del percorso motivazionale senza tenere in alcuna considerazione importanti risultanze processuali e soprattutto pervenendo all’esito del giudizio con una motivazione illogica, in quanto dall’istruttoria dibattimentale non sarebbe emersa la prova della penale responsabilità dell’imputata ed il Tribunale non avrebbe fatto buon governo delle emergenze processuali.
Segnatamente, la signora X.C. aveva fatto affidamento negli atti che avrebbe dovuto predisporre il proprio consulente e, ritenendo che il consulente avesse ottemperato agli obblighi di legge, ciò ha determinato un errore sul fatto che costituisce il reato, con la conseguenza che la punibilità sarebbe esclusa ai sensi dell’articolo 47, ultimo comma, del codice penale per errore su una legge diversa dalla legge penale;
- inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione sulla responsabilità dell’imputata perché, se la Corte territoriale avesse correttamente valutato le emergenze istruttorie e avesse fatto buon governo delle norme di diritto che regolano la materia, sarebbe pervenuta ad emettere sentenza assolutoria, non essendo stata raggiunta la prova della responsabilità , oltre ogni ragionevole dubbio;
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione su punti decisivi per il giudizio, non avendo la Corte d’appello esposto i motivi per i quali sono stati ritenuti irrilevanti gli elementi forniti dalla difesa.
- Il ricorso è inammissibile.
- Il primo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello, con adeguata e logica motivazione, ha affermato che – dalla deposizione resa dal teste qualificato, ispettore addetto alla sicurezza sul lavoro, deposizione risultata sufficientemente circostanziata e non contraddetta da risultanze di contrario segno – è emerso come il documento di valutazione dei rischi presentasse una data successiva a quella dell’accesso ispettivo e, inoltre, come non fosse stata acquisita alcuna utile traccia documentale circa l’avvenuta designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, né tantomeno circa la formazione della dipendente.
Nella delineata prospettiva, quanto alla deduzione circa l’esclusione del dolo per l’errata o insufficiente conoscenza di quelli che erano gli obblighi di Legge incombenti sull’imputata nell’indicata qualità , la Corte d’appello ha ricordato che, a tutto voler concedere circa l’astratta ravvisabilità di un’errata o insufficiente preparazione tecnico-legale della ricorrente, i fatti-reato sono puniti a titolo contravvenzionale e dunque postulano la mera coscienza e volontà della condotta che è stata ampiamente ravvisata nel caso in esame sul rilievo che la ricorrente, accettando il ruolo e le funzioni di titolare di una ditta commerciale operante nel territorio dello Stato, non poteva non essere edotta degli oneri e prescrizioni derivanti da espresse previsioni di legge.
Pertanto, a parte l’assertività della deduzione della ricorrente sulla circostanza di aver fatto affidamento sull’opera di un consulente, è il caso di precisare che, nei reati contravvenzionali, la buona fede dell’agente tale da escludere l’elemento soggettivo non può essere invocata da chi, deducendo di aver fatto affidamento sull’opera di un terzo, riveste tuttavia la qualifica soggettiva richiesta per la realizzazione del fatto di reato, incombendo sul soggetto qualificato obblighi di accertamento personali il cui mancato espletamento integra l’elemento soggettivo dell’illecito quanto meno sotto l’aspetto della colpa generica per negligenza.
Il secondo ed il terzo motivo di impugnazione sono inammissibili perché aspecifici.
Quanto al fatto che sussisteva un ragionevole dubbio, ostativo alla pronuncia di colpevolezza (secondo motivo), la ricorrente si limita ad indicare i criteri di carattere generale, senza alcuna ricaduta sul caso specifico; sulle prove contrarie di cui il giudice del merito non avrebbe tenuto conto (terzo motivo), la ricorrente non ne indica alcuna.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Fonte: CassazioneWeb, Photo by Fancycrave on Unsplash