Cassazione Penale, sentenza n. 13313 del 22 marzo 2018. Grave infortunio del lavoratore con la macchina tritacarne.

Responsabilità del datore di lavoro per avere messo a disposizione del lavoratore un’attrezzatura di lavoro inidonea

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza emessa in data 27/9/2016, confermava la pronuncia del Tribunale di Brescia con cui B.A.I., ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose, era condannato alla pena di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.

Era contestato all’imputato di avere, nella qualità di datore di lavoro di M.A., cagionato lesioni personali gravi al dipendente, cui venivano amputate quattro dita della mano sinistra. Il lavoratore, addetto all’attività di pizzeria, utilizzando un tritacarne per potere sminuzzare la mozzarella, al fine di rimuovere un pezzo di mozzarella che aderiva al condotto di alimentazione del macchinario, inseriva un dito al suo interno. A seguito della ripresa della lavorazione, il macchinario trascinava all’interno del suo ingranaggio le dita della mano sinistra.

Si configuravano a carico del ricorrente, profili di colpa generica, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché, di colpa specifica, consistita nella violazione degli artt. 70, comma 2, in relazione al punto 6.1, allegato V del d.lgs. 81/2008 e 18, comma 1, lett. f), d.lgs. 81/2008. In particolare, era addebitato al B.A.I. di avere messo a disposizione del lavoratore una attrezzatura di lavoro inidonea, in relazione alla sicurezza dei lavoratori e non conforme ai requisiti generali di sicurezza; di non avere adottato le misure tecniche ed organizzative necessarie per ridurre al minimo il rischio di lesioni alle mani per i lavoratori adibiti a tali macchine, non risultando munite di adeguati sistemi di protezione al fine di evitare contatti accidentali degli addetti con la coclea in movimento; di avere consentito o comunque tollerato l’uso della macchina tritacarne sopra descritta, priva dei suddetti apprestamenti di difesa.

Con l’unico motivo di ricorso, l’imputato, a mezzo del difensore, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., con riferimento al profilo del trattamento sanzionatorio.

Nel confermare la pena inflitta al ricorrente, assumeva la difesa, la Corte territoriale aveva sostenuto che il discostamento dal minimo edittale fosse giustificato dalla gravità del fatto e dall’entità della colpa, definita di grado non lieve, a causa della pericolosità della macchina. Poiché la gravità delle lesioni subite dalla persona offesa vengono in rilievo già nella previsione normativa di cui all’art. 590, comma 3, cod. pen., il giudice avrebbe considerato due volte, allo stesso fine, il suddetto elemento, incorrendo nella violazione del principio del “ne bis in idem” sostanziale. Quanto alla valutazione riguardante il grado della colpa, evidenziava come la macchina tritacarne adoperata dal lavoratore, non fosse stata reperita dal personale ispettivo. Ne conseguirebbe la infondatezza dell’asserita evidente pericolosità del macchinario. Sarebbe quindi ingiustificato l’aspro trattamento sanzionatorio adottato dal giudice.

Diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata, nel caso in esame dovrebbe ritenersi sussistente un lieve grado di colpa. Sul punto, la Corte avrebbe omesso di considerare che il B.A.I. svolgeva attività di gestione della pizzeria, non occupandosi della fornitura e dell’utilizzo dei macchinari. Inoltre, il predetto non era presente nel momento in cui si verificò l’infortunio per cui non ha avuto modo di intervenire per impedire al lavoratore di porre in essere il comportamento sconsiderato.

Il giudice, in ragione di ciò, avrebbe dovuto applicare la pena in misura minima o in misura inferiore e consentire conseguentemente all’imputato di accedere al beneficio della sospensione condizionale della pena. La Corte, inoltre, avrebbe errato nell’affermare che la pena irrogata era contenuta nella fascia più bassa della cornice edittale. Essa, al contrario, risulta prossima ai massimo edittale. (Fonte Corte di Cassazione):

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