Cassazione Penale, sentenza n. 13918 del 7 maggio 2020 – Infortunio in occasione del trasporto di un silos sull’autocarro
Evidente relazione causale tra la mancata formazione e informazione del lavoratore e l’evento.
Con sentenza del 28 febbraio 2019 la Corte d’appello di Bologna, provvedendo, a seguito del rinvio disposto dalla Quarta Sezione di questa Corte con la sentenza n. 34791 del 2018, sulla impugnazione proposta da E.B. nei confronti della sentenza del 20 gennaio 2016 del Tribunale di Piacenza, con la quale lo stesso, a seguito di giudizio abbreviato, era stato condannato alla pena di due mesi di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, in relazione al reato di cui all’art. 590, commi 1, 2 e 3, cod. pen., in relazione all’art. 583, comma 1, n. 1, cod. pen. (commesso il 22 maggio 2013), ha confermato la sentenza impugnata, condannando l’imputato al pagamento delle ulteriori spese del procedimento e di quelle sostenute nel grado dalla parte civile.
2. Anche nei confronti di tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 125, comma 3, 546, comma 1, lett. e), e 627 cod. proc. pen., nonché 40, 42, e 43, comma 3, cod. pen. e l’illogicità della motivazione, nella parte relativa alla affermazione della sussistenza di una condotta colposa dell’imputato e della configurabilità di una relazione causale tra la stessa e l’evento.
Ha sottolineato la mancata individuazione da parte della Corte d’appello dei contenuti della formazione che avrebbe dovuto essere somministrata al lavoratore infortunato e della relazione causale tra l’eventuale omissione della stessa e l’evento, specificazione che era stata richiesta espressamente dalla sentenza di annullamento con rinvio, tenendo conto del fatto che l’evento si era verificato in occasione del trasporto da parte della persona offesa, O.A., dipendente con qualifica di autista dell’impresa dell’imputato, di un silos assicurato al camion con alcune cinghie; dovendo recuperare una cinghia mal posizionata, l’O.A. era salito sul pianale del veicolo e aveva perso la presa cadendo da una altezza di metri 1,09 (tra il pianale e il basamento del silos), ripotando lesioni. La Corte d’appello aveva individuato l’obbligo informativo omesso nelle caratteristiche strutturali del veicolo (che, peraltro, l’O.A. utilizzava tutti i giorni) e nell’uso delle scarpe rigide, che, però, non erano stati oggetto di prescrizione neppure da parte degli organi accertatori, essendo emerso che l’automezzo aziendale usato dall’O.A. era conforme all’impiego previsto (non essendo stata rilevata alcuna violazione per la mancanza sullo stesso di una scala) e non essendo stata impartita alcuna prescrizione a causa del fatto che il silos trasportato occupava quasi interamente il cassone.
Nonostante ciò la Corte d’appello aveva ribadito l’affermazione di responsabilità, senza tener conto del fatto che il documento di valutazione dei rischi, redatto ai sensi degli artt. 73, 74 e 75 d.lgs. 81/2008, era stato sottoscritto dall’O.A. all’atto della sua assunzione, allorquando gli erano stati consegnati i dispositivi di protezione individuali ed era stato sottoposto al corso di formazione generica sulla sicurezza del lavoro, evidenziando anche possibili situazioni di rischio nella movimentazione manuale dei carichi e dei mezzi, da cadute a livello e in altezza, e dando atto della conoscenza da parte del lavoratore dei mezzi e dei materiali d’uso, cosicché risultava mancante l’individuazione da parte dei giudici del rinvio della regola cautelare violata e della relazione causale tra la stessa e lo specifico evento realizzatosi, benché ciò fosse stato oggetto dell’accertamento loro demandato con la sentenza di annullamento. Era, inoltre, stata omessa l’indagine circa le conseguenze della adozione del comportamento ritenuto doveroso e omesso, se, cioè, questo sarebbe valso a impedire l’evento, tenuto conto della particolarità del caso concreto.
2.2. Con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) et e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e la mancanza e la illogicità della motivazione, nella parte relativa alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa, che era stata compiuta dai giudici del rinvio senza considerare l’avvenuta formazione della stessa, attestata dal certificato sottoscritto da tutti i dipendenti dell’impresa dell’imputato, da cui si ricavava, tra l’altro, che la persona offesa il 9 marzo 2013 aveva frequentato il corso di formazione sulla sicurezza del lavoro. Ha aggiunto, al riguardo, che l’imputato non aveva sollevato alcuna contestazione in ordine alla veridicità di tale documento, cosicché risultava illogica l’affermazione di una costruzione artificiosa di tale prova successivamente alla verificazione dell’evento.
Ha, inoltre, eccepito l’inattendibilità e la inverosimiglianza di quanto dichiarato dall’imputato, e su cui era stata fondata l’affermazione della mancata formazione dello stesso da parte del datore di lavoro, secondo cui detto documento gli sarebbe stato sottoposto dall’imputato per la sottoscrizione mentre era ricoverato in ospedale dopo l’infortunio, trattandosi di dichiarazioni rese da un soggetto interessato (in quanto la persona offesa si era costituita parte civile) e inverosimili (non essendovi ragioni per firmare un documento attestante lo svolgimento di attività di formazione in data anteriore a quella della sottoscrizione del documento stesso), con la conseguente illogicità della motivazione su tale punto, decisivo, da cui derivava la sussistenza di un ragionevole dubbio sulla effettiva omissione della condotta doverosa, sulla base della quale era stata affermata la responsabilità.
La parte civile ha depositato memoria, mediante la quale ha chiesto il rigetto del ricorso, contestando la fondatezza di entrambi i motivi.
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato.
Va premesso che nella sentenza di annullamento (n. 34791 del 2018) la Quarta Sezione di questa Corte ha evidenziato che all’imputato si è attribuito di non aver formato il lavoratore circa “procedure più consone e sicure da seguire”; di non esser stato reso consapevole che “avrebbe potuto incorrere in una situazione quale quella che gli è capitata”; di non aver informato il lavoratore “sul modo corretto di procedere in situazioni come quella”. Nonostante ciò si è rilevato che era mancata, nella prima sentenza di secondo grado, la puntuale descrizione dei contenuti della formazione e dell’informazione che avrebbero dovute essere somministrate al lavoratore. In particolare, non era emerso se questi avrebbe dovuto essere informato dei rischi connessi all’uso delle scarpe antinfortunistiche ove chiamato a muoversi in spazi angusti e quindi formato sull’uso delle cautele da adottare nel caso; o se la formazione e l’informazione avrebbero dovuto avere ad oggetto l’operazione di assicurazione del carico sul pianale del camion; quali comportamenti concreti tale addestramento avrebbe indotto. Risultava, dunque, carente l’accertamento della causalità e della colpa, non essendo stati puntualmente identificati i termini delle relazioni eziologiche, cosicché la Corte d’appello era incorsa nell’errore di ritenere che un difetto di formazione e di informazione vi era stato perché il lavoratore si era infortunato, con la conseguente necessità di un nuovo accertamento della ricorrenza degli elementi indefettibili dell’imputazione colposa dell’evento.
Tale accertamento è stato compiuto dai giudici del rinvio, che hanno ravvisato una relazione causale tra l’accertata mancata formazione del lavoratore infortunato in ordine alle cautele antinfortunistiche, in particolare in ordine alla condotta da tenere per assicurare il carico e per recuperare una delle cinghie utilizzate a tale scopo, e l’evento.
La Corte d’appello, dopo aver riportato le modalità di verificazione dell’infortunio (avvenuto in occasione del trasporto di un silos sull’autocarro condotto dalla persona offesa, al cui pianale era stato assicurato con alcune cinghie; poiché una di queste era stata mal posizionata e doveva essere recuperata, il conducente era salito sul pianale del camion, indossando le scarpe antinfortunistiche in dotazione, aveva afferrato la cinghia con la mano sinistra, reggendosi con quella destra a una traversa del silos, perdendo la presa, era caduto a terra da una altezza modesta, a poco più di metro, procurandosi la rottura della tibia a causa del fatto che un piede era rimasto incastrato tra il pianale del veicolo e il basamento del silos), ha, anzitutto, escluso che la condotta dell’infortunato possa essere ritenuta abnorme o esulante dalla sue mansioni, essendo, anzi, prevedibile, rientrando nelle sue mansioni l’operazione di ancoraggio e messa in sicurezza del carico da trasportare; è stato, poi, sottolineato che il lavoratore non aveva frequentato alcun corso di formazione o di sicurezza, in quanto il personale della ASL di Piacenza non aveva rinvenuto alcun documento attestante l’avvenuta formazione e quello apparentemente sottoscritto il 9 marzo 2013 era, in realtà, stato fatto sottoscrivere al lavoratore dopo l’infortunio, mentre si trovava ricoverato in ospedale, nonché il fatto che l’autocarro sul quale era stato caricato il silos era privo di scala di accesso al pianale e anche di idonei punzoni per bloccare il container ai quattro angoli una volta posato sul cassone.
E’ stata, quindi, sottolineata la evidente relazione causale tra la mancata informazione del lavoratore, in ordine alle modalità esecutive della assicurazione di quel genere di carichi da trasportare con il veicolo in dotazione (che poteva trasportare un oggetto di rilevanti dimensioni come il silos in questione solo fissando il carico con delle cinghie, in quanto, per le dimensioni dell’oggetto da trasportare rispetto al pianale, occorreva rimuovere la piantana posteriore d’angolo, perché il carico aveva una dimensione tale da non permettere la chiusura delle sponde), e l’infortunio, in quanto il carico, per le sue dimensioni, richiedeva accorgimenti specifici, essendo impedito l’uso delle sponde di protezione e anche l’accesso al cassone in condizioni di sicurezza, cosicché salire sul bordo del cassone con scarpe rigide, aggrappandosi a una traversa della struttura, determinava il pericolo di perdita dell’equilibrio, poi verificatasi, con la conseguente caduta del lavoratore.
Si tratta, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, di motivazione idonea a evidenziare sia la condotta doverosa omessa (e cioè l’adeguata formazione del lavoratore in ordine al pericolo derivante dal trasporto di un carico del genere di quello presente sul cassone del camion aziendale in occasione dell’infortunio, che richiedeva di essere assicurato con cinghie, che non potevano essere recuperate se non con una manovra pericolosa, ovverosia salendo sul pianale dell’autocarro senza l’ausilio di una scala), non essendo state rinvenute tracce documentali di alcuna formazione (stante la riconducibilità a data successiva all’infortunio della attestazione sottoscritta dal lavoratore e prodotta dall’imputato); sia la relazione causale tra la stessa e l’infortunio, essendo stato chiarito come una adeguata formazione e informazione del lavoratore sui rischi connessi al trasporto di un carico delle dimensioni di quello presente sull’autocarro, tra l’altro privo di scala di accesso al pianale, avrebbero consentito di evitare l’evento, cioè la caduta, che fu dovuta alla esecuzione di una manovra imprudente e inappropriata, che una adeguata formazione sulla condotta da tenere per assicurare un carico di dette dimensioni, su un autocarro delle caratteristiche di quello condotto dall’infortunato, avrebbe consentito di evitare.
Ne consegue l’infondatezza dei rilievi sollevati con entrambi i motivi di ricorso, in quanto i giudici del rinvio, ottemperando a quando indicato nella sentenza di annullamento, hanno individuato sia la condotta doverosa omessa dall’imputato (consistente nel fornire al lavoratore adeguata formazione sulle cautele da adottare per assicurare un carico delle dimensioni di quello oggetto del trasporto che avrebbe dovuto essere eseguito, tenendo conto delle caratteristiche del veicolo, risultando irrilevante che lo stesso fosse conforme alle disposizioni di sicurezza e che non sia stata ravvisata alcuna violazione a causa della mancanza della scala di accesso al pianale, dovendo comunque tenersi prudentemente conto, da parte del datore di lavoro, delle caratteristiche del mezzo da utilizzare e sul quale assicurare il carico); sia la necessaria relazione causale tra la stessa e l’evento, la cui verificazione è stata ritenuta riconducibile alla inadeguata formazione del lavoratore sulla condotta da tenere nelle operazioni di assicurazione del carico, che avrebbe potuto essere evitate se lo stesso fosse stato reso edotto dei pericoli connessi al fatto di salire sul pianale in condizioni di equilibrio precario, senza punti di ancoraggio e con scarpe rigide (una delle quali si incastrò, determinando la gravità delle lesioni).
Non vi è, poi, alcuna violazione dei criteri di valutazione della prova o illogicità manifesta nella considerazione delle dichiarazioni della persona offesa, essendo stato sottolineato, in modo pienamente logico, che non vi sono ragioni di sorta per ritenere falso quanto dallo stesso dichiarato (a proposito della sottoscrizione della attestazione di partecipazione al corso di formazione in data successiva all’Infortunio, addirittura mentre si trovava ricoverato in ospedale dopo la caduta), cosicché, anche sotto tale profilo, i rilievi sollevati dal ricorrente risultano infondati.
Infine il documento sottoscritto dal lavoratore, privo di data e allegato in copia al ricorso, risulta, come rilevato anche dai giudici di merito, del tutto generico, facendo riferimento alle possibili situazioni di rischio nelle fasi di movimentazione manuale dei carichi, cosicché da esso non è possibile ricavare una adeguata formazione del lavoratore sui rischi connessi alla necessità di assicurare carichi del genere di quello trasportato in occasione della verificazione dell’infortunio, cosicché anche sotto questo profilo devono essere esclusi vizi della motivazione o travisamenti delle prove.
Il ricorso deve, in conclusione, essere respinto, essendo infondati entrambi i motivi cui è stato affidato.
Al rigetto del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché della rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo. Fonte: Cassazione Web