Cassazione Penale sentenza n. 35426 del  11 dicembre 2020 – Mortale caduta dall’alto

Mortale caduta dall’alto per assenza di un sistema di ancoraggio per collegare i dispositivi anticaduta individuali retrattili. Responsabilità del preposto e del datore di lavoro.

Con sentenza in data 6 maggio 2019 la Corte d’Appello di L’Aquila confermava la condanna pronunciata dal Tribunale di Chieti nei confronti di P.A. e C.N. in relazione al reato di omicidio colposo ai danni del lavoratore A.C. e delle contravvenzioni loro rispettivamente ascritte (artt.115, commi 1 e 3, 159 comma 1 lett.c D.Lgs.n.81/2008 alla P.A., e art.art.19, comma 1 lett.a D.Lgs.n.81/2008 al C.N.); operava una riduzione delle pene irrogate agli imputati dal primo giudice; eliminava le pene accessorie disposte nei confronti della P.A.; concedeva al C.N. i doppi benefici di legge; liquidava le spese in favore delle parti civili.

Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa dai giudici di merito, la P.A., legale rappresentante della ditta “xxxxxxxxx”, esecutrice dei lavori di ristrutturazione esterna di una palazzina in comune di Francavilla a Mare, e C.N., dipendente della medesima ditta e preposto per la fase di montaggio dei ponteggi, per colpa generica e specifica violazione di norme di prevenzione antinfortunistica, avevano provocato la morte dell’operaio A.C., il quale, nel posizionare un cavalletto, aveva perso l’equilibrio rovinando al suolo. In particolare, alla P.A. era stato contestato di non aver fatto utilizzare nei lavori in quota idonei sistemi di protezione, quali i dispositivi retrattili, benché adeguatamente previsti nel PIMUS, e per non avere assicurato un adeguato sistema di protezione direttamente o mediante connettore lungo una guida o linea vita a parti stabili delle opere fisse o provvisionali; al C.N., di non aver sovrainteso e vigilato sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e quindi dell’utilizzo dei mezzi di protezione, realizzando su tutti i lati dell’edificio un ponteggio metallico prefabbricato privo di perni di collegamento tra i vari montanti, carente all’ultimo piano sito ad un’altezza di 15 metri dal suolo, in cui stava lavorando il A.C., di un sistema di ancoraggio e protezione per cadute dall’alto (cordini retrattili-linee vita).
Hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, tramite il comune difensore di fiducia, articolando tre motivi.
Con un primo motivo deducono carenza della motivazione in ordine alla richiesta di sospensione della provvisionale. La Corte di L’Aquila ha confermato l’importo liquidato dal Tribunale in favore dei familiari della vittima, senza ancorarla ad alcun parametro giuridico e senza tenere conto che la moglie dell’operaio deceduto percepisce dal 2015 una somma erogata dall’INAIL di Napoli, con la conseguenza che, qualora la provvisionale venisse azionata, si determinerebbe una duplicazione del risarcimento contra legem.

Con un secondo motiva lamentano erroneità della motivazione contenuta a pag.6 (rigo 34-46), ove si afferma la mancanza di un sistema di ancoraggio per collegare i dispositivi anticaduta retrattili dei singoli lavoratori, mediante il connettore grande presente sul cordino dell’imbracatura. Al lavoratore A.C. furono assegnati una serie di strumenti di protezione individuale, tra i quali quello denominato “EN 360 Imbracatura Anticaduta”, dispositivo diverso dalla cosiddetta “Linea Vita”, mai assegnata.
Con il terzo motivo si dolgono della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche

Il Procuratore Generale in sede, con requisitoria scritta ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato estinto per prescrizione. 

Quanto al primo motivo, secondo univoca e costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, non è impugnabile con ricorso per cassazione la statuizione pronunciata in sede penale e relativa alla concessione e quantificazione di una provvisionale, trattandosi di decisione di natura discrezionale, meramente delibativa e non necessariamente motivata, per sua natura insuscettibile di passare in giudicato e destinata ad essere travolta dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (in tal senso, Sez.2, n.44859 del 17/10/2019, Rv.277773; Sez.3, n.18663 del 27/01/2015, Rv.263486).

Nel caso in esame, comunque, la Corte territoriale ha ben spiegato le ragioni per le quali ha disatteso il motivo di gravame volto alla sospensione delle provvisionali concesse dal Tribunale ai prossimi congiunti della vittima, ritenendo correttamente irrilevante la circostanza della percezione di una indennità INAIL da parte della vedova del A.C..

Con il secondo motivo in realtà i ricorrenti non contestano l’affermazione di responsabilità, ma unicamente un passaggio della sentenza di appello relativa ai dispositivi di protezione individuale.

La Corte territoriale si sofferma in maniera approfondita sulla sussistenza delle condotte colpose addebitate ai ricorrenti, rimarcando che su tutti i lati dell’edificio era stato realizzato un ponteggio metallico privo di perni di collegamento tra i vari montanti (c.d. spine a verme), a conferma di una scorretta modalità operativa, che creava di fatto elementi di criticità potenzialmente idonei a determinare la fuoriuscita dei montanti dal telaio sottostante ed il conseguente rischio di precipitazione; che il A.C. lavorava in quota nella totale mancanza di sistemi di protezione, non risultando agganciato alla c.d. linea-vita, pur avendo indossato il dispositivo di imbracatura anticaduta in dotazione individuale, da agganciare alla predetta linea-vita; che mancava dunque ogni sistema di ancoraggio per collegare i dispositivi anticaduta individuali retrattili dei singoli lavoratori, mediante il connettore grande presente sul cordino collegato all’imbracatura; che la mancanza di tale sistema di ancoraggio e la totale mancanza di perni di collegamento tra i vari montanti, accertata sull’intero ponteggio prefabbricato, ponevano in grave pericolo la situazione di lavoro degli operai e; nella specie, avevano costituito causa della caduta del A.C..
Queste argomentazioni non sono state criticate nei ricorsi in esame. Manifestamente infondato anche il terzo motivo con il quale si lamenta il diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Anche sul punto la motivazione della Corte territoriale appare immune da censure, avendo evidenziato i precedenti contravvenzionali a carico della P.A. in materia di sicurezza sul lavoro e la gravità della condotta ascrivibile al preposto C.N..
Di contro, l’impugnazione appare generica e non offre ulteriori elementi positivamente valutabili a favore degli imputati.
Alla luce di tali considerazioni i ricorsi vanno dichiarati inammissibili ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, che si stima equo liquidare in euro duemila ciascuno.

P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila ciascuno in favore della cassa delle ammende. Così deciso in Roma il 19 novembre 2020.

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Fonte cassazione Web

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