Cassazione Penale, sentenza n. 35956 del 16 dicembre 2020 – mancanza di valutazione dei rischi connessi alla movimentazione dei carichi
Cassazione Penale, sentenza n. 35956 del 16 dicembre 2020 – infortunio con una lastra in lamiera, mancanza di valutazione dei rischi connessi alla movimentazione manuale dei carichi.
La Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza di assoluzione di primo grado, ha condannato A.B. alla pena di mesi 3 di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale e della non menzione, per il reato di cui all’art. 590, primo e terzo comma, cod.pen., perché, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di AB xxxxxxx, con delega specifica per gli aspetti di sicurezza sul lavoro dell’azienda, con colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e nella violazione dell’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008, non avendo valutato correttamente i rischi connessi all’attività di movimentazione manuale delle lastre di lamiera e non avendo elaborato le procedure operative in modo adeguato alla gravità e frequenza del rischio, cagionava lesioni personali gravi (frattura malleolo tibiale sinistro) al dipendente E.P., colpito dalla lastra di lamiera che stava scaricando da un carrello elevatore – 28 aprile 2012.
Il giudice di primo grado, pur avendo accertato che il documento di valutazione dei rischi non conteneva una dettagliata valutazione dei pericoli connessi alla movimentazione manuale dei carichi e che mancavano procedure operative scritte, contenenti istruzioni relative alle manovre da eseguire, ha ritenuto significativamente probabile che l’adempimento dell’obbligo di cui all’art. 28 del d.lgs. n. 81 del 2008 non avrebbe impedito l’evento, riconducibile piuttosto alla manovra occasionale e non prevedibile, contraria al buon senso, posta in essere dal lavoratore, in modo difforme dalla prassi corretta seguita, in base alla quale si procedeva alla movimentazione della lamiere tramite l’adeguata attrezzatura, proprio per evitarne la caduta accidentale, tenuto conto, peraltro, dei corsi di formazione e aggiornamento espletati in ordine ai rischi specifici connessi alla mansione ed al sollevamento.
Al contrario, il giudice di appello ha accertato che dalle prove testimoniali (persona offesa e teste S.) è emerso che la movimentazione dei carichi avveniva con adeguata attrezzatura solo se avente ad oggetto un intero pacco e non se, come nel caso di specie, riguardava singole lamiere, per cui ha escluso l’imprevedibilità e abnormità della condotta imprudente del lavoratore. Si è così pervenuti alla condanna dell’imputato, che non aveva adeguatamente valutato il rischio connesso alla movimentazione delle singole lastre, non aveva dato istruzioni al riguardo ed aveva tollerato una prassi pericolosa in caso di spostamento di piccoli carichi, sottolineando la causalità di tale omissione, in quanto, ove fosse esistita una procedura diversa e una prassi corretta, i lavoratori vi avrebbero ottemperato.
Avverso tale sentenza ha proposto tempestivamente ricorso per cassazione, a mezzo del proprio difensore, l’imputato, che ha dedotto: 1) la violazione degli artt. 40, 41, 590 cod.pen. ed il vizio di motivazione in ordine al nesso di causalità, che è stato affermato in base ad un ragionamento induttivo ed ipotetico inidoneo a dimostrare, con il necessario grado di elevata probabilità logica, il carattere salvifico della omessa condotta dell’imputato, in quanto non si è individuata la legge scientifica di copertura e, in modo contraddittorio, si è ritenuto che la condotta dalla persona offesa, nonostante caratterizzata da imprudenza, dimostri l’inclinazione all’ottemperanza delle regole, con violazione, peraltro, dell’obbligo di motivazione rafforzata che deve caratterizzare la sentenza di secondo grado, laddove ribalti quella di primo grado; 2) la violazione di legge ed il vizio di motivazione, essendosi esclusa l’abnormità della condotta del lavoratore, oltre che senza alcuna valutazione delle deposizioni di N.M. e P.P., con un evidente travisamento della prova, atteso che entrambi i testi menzionati nella sentenza impugnata hanno affermato che l’unica procedura ammessa era quella che prevedeva la movimentazione delle lastre ancora imballate, che il teste S. ha precisato che il controllo della stabilità del carico avveniva visivamente e che la manovra di riequilibro non era mai effettuata, toccando e sollecitando le lastre, 3) la violazione degli artt. 42, 43 e 590 cod.pen. ed il vizio di motivazione, in quanto, difformemente da quanto emerso dall’istruttoria, si è ritenuto che fosse tollerata la movimentazione di singole lastre di lamiera, che, al contrario era operazione vietata, stante la loro scivolosità, della cui pericolosità i lavoratori erano stati informati nei corsi di formazione, ed, inoltre, non si è tenuto conto del contenuto del documento di valutazione del rischio, come revisionato in data 9 novembre 2011 ed acquisito in data 16 marzo 2016, contenente una serie di disposizioni relative alle operazioni di carico delle lamiere sul pantografo, da cui si desume che era sempre necessario, a prescindere dal numero di lastre trasportate, l’utilizzo di bancali; 4) la violazione degli artt. 42, 43 e 590 cod.pen. e degli artt. 15, 17, 28 d.lgs. n. 81 del 2008 ed il vizio motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, che è stata affermata senza alcuna indagine della effettiva possibilità, da parte dell’imputato, di conoscere eventuali prassi operative, aventi ad oggetto la movimentazione di piccoli carichi o singole lastre, contrarie alle istruzioni dell’azienda, che era, peraltro, munita di un responsabile del servizio di prevenzione e protezione (P.P.) e di un preposto al settore di lavorazioni in esame (S.L.) ed aveva un’organizzazione complessa, su cui le sentenza di merito non si soffermano affatto;
la violazione degli artt. 62-bis, 133, 135, 163 cod.pen. e 53 della L. n. 689 del 1981 ed il vizio motivazione in ordine alla quantificazione della pena, in quanto si è esclusa la possibilità di applicare la sola pena pecuniaria in considerazione del grado di colpa dell’imputato, che, in modo illogico e contraddittorio, si è ritenuto elevato, pur riconoscendosi l’imprudenza della persona offesa e senza alcuna concreta motivazione relativamente a tutti gli elementi di fatto (quali, ad esempio, le previsioni del documento di valutazione del rischio), nonché ed al diniego delle attenuanti generiche, avvenuto senza considerare gli elementi positivi emersi (quali, ad esempio, il pagamento, da parte dell’imputato, delle spese mediche della persona offesa).
La causa è stata trattata con le modalità di cui all’art. 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020. La Procura Generale presso la Corte di Cassazione ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendosi il reato estinto per intervenuta prescrizione. Il ricorrente ha chiesto annullarsi la sentenza impugnata con i conseguenti provvedimenti.
In via preliminare occorre osservare che il reato per il quale l’imputato è stato tratto a giudizio si è prescritto in data 28 ottobre 2019, trattandosi di delitto commesso il 28 aprile 2012 e non ricorrendo alcuna causa di sospensione della prescrizione.
Al riguardo, ritenuto che l’odierno ricorso avanzato dall’imputato non appare manifestamente infondato, né risulta affetto da profili d’inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all’insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una ‘constatazione’, che a un atto di ‘apprezzamento’ e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274). Il concetto di ‘evidenza’, richiesto dal secondo comma dell’art. 129 c.p.p., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richieda per l’assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275). Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell’imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui ‘positivamente ‘ deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l’assoluta essenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v. Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Ciò non è riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte – anche tenendo conto degli elementi evidenziati nella motivazione della sentenza di merito e delle deduzioni difensive del ricorrente – non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui al secondo comma dell’art. 129 c.p.p.
3.Ne discende che, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all’imputato estinto per prescrizione.
P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione. Così deciso 2 dicembre 2020.
Fonte: Cassazione Web