Cassazione Penale, sentenza n. 36169 del 19 agosto 2019. Annullata con rinvio la sentenza di condanna del datore di lavoro per eccessiva genericità
Rischi derivanti dal lavoro di taglio della macchina cesoia a ghigliottina idraulica. Annullata con rinvio la sentenza di condanna del datore di lavoro per eccessiva genericità.
La Corte di appello di Firenze il 12 luglio 2018 ha integralmente confermato la sentenza emessa all’esito del dibattimento il 20 maggio 2016 dal Tribunale di Firenze, sentenza, appellata dall’imputato, con cui M.B. è stato ritenuto responsabile del reato di lesioni colpose gravi in danno di A.C., con violazione della disciplina antinfortunistica, fatto commesso il 3 dicembre 2011, e, in conseguenza, condannato alla pena stimata di giustizia.
In sintesi, il fatto, come concordemente ricostruito dai Giudici di merito.
A.C., operaio dipendente della s.r.l. LEF, ditta con oggetto sociale produzione e lavorazione di lamierati per apparecchiature elettriche, il cui legale rappresentante – amministratore unico con pieni poteri decisionali e di spesa – era M.B., mentre stava inserendo un pezzo di lamiera di piccole dimensioni (circa 25 X 10 cm.) all’interno della macchina “Cesoia a ghigliottina idraulica modello CG 2004”, oltrepassava, passandovi sotto, la griglia fissa di protezione di colore giallo della macchina, griglia che si è ritenuto non dotata di idonei ripari fissi o di ripari interbloccati o di dispositivi elettrosensibili atti ad impedire il contatto degli arti con il premi-lamiera o con la lama mobile; il lavoratore inoltre azionava il pulsante a pedale e così subiva lo schiacciamento del terzo dito della mano sinistra da parte del pistone premi-lamiera, con conseguente amputazione della falange distale del dito.
Dall’istruttoria – tra l’altro – è emerso: che il lavoratore infortunato era addetto da dieci giorni a quella macchina e che un tecnico aveva fatto formazione all’impiego della stessa; che la distanza tra la feritoia attraverso la quale il lavoratore ha infilato la mano e l’area di taglio era di soli otto centimetri e dalla zona di intervento dei pistoni di poco più di due centimetri, mentre avrebbe dovuto essere almeno di dodici centimetri (in difformità da direttive della Comunità europea); e che la macchina, in ottemperanza alle prescrizioni impartite dalla A.S.L. dopo l’infortunio, è stata modifica attraverso la riduzione delle dimensioni dell’imboccatura ad otto millimetri, così impedendo l’introduzione delle dita e rispettando la distanza di sicurezza minima rispetto all’area di intervento dei pistoni.
Ciò posto, è stata riconosciuta la responsabilità dell’imputato, in veste di datore di lavoro: per avere omesso di prendere in considerazione nel documento di valutazione dei rischi quelli derivanti dal lavoro di taglio e di premi-lamiera della macchina cesoia a ghigliottina idraulica; e per avere messo a disposizione del dipendente tale macchina non idonea ai fini della sicurezza, in quanto non dotata di idonei ripari fissi o di ripari interbloccati o di dispositivi elettrosensibili atti ad impedire il contatto degli arti superiori in genere e delle dita, in particolare, con il premi-lamiera o con la lama mobile, in quanto la griglia fissa di colore giallo installata non impediva l’accesso degli arti nella zona di pericolo; così violando, rispettivamente, gli artt. 17 e 71 del d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Ricorre per la cassazione della sentenza l’imputato, tramite difensore, affidandosi ad un solo, complesso, motivo, con cui denunzia travisamento della prova, mancanza di motivazione e violazione di legge (artt. 43 e 590 cod. pen.).
Il ricorrente premette di avere già denunziato travisamento della prova nell’atto di appello, ciò che rende deducibile il vizio in sede di legittimità, nonostante la “doppia conforme”, essendosi – a suo avviso – la Corte di merito limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza argomentare sulla inadeguatezza o inconsistenza dei motivi di impugnazione (pp. 1-2 del ricorso).
Ripercorsa, poi, la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza di primo grado e la relativa motivazione, i motivi di appello (pp. 2-9 del ricorso) e la risposta della Corte di merito (p. 9), lamenta il ricorrente (pp. 9-11) la eccessiva genericità della sentenza impugnata, l’essersi la stessa concentrata solo sul tema della “distanza orizzontale” tra la griglia di protezione e la linea di discesa dei pistoni premi-lamiera disinteressandosi, però, della rilevabilità o meno ictu oculi della “distanza in altezza” della griglia di protezione dal piano di lavoro, corrispondente a circa meno di due centimetri, anziché ad otto millimetri, «e, di conseguenza, del mancato rispetto della proporzione tra tale altezza e la misura della predetta distanza orizzontale (fissata in 21 mm anziché in 120 mm): ossia del “cuore” dell’atto di appello e del fulcro della valutazione in ordine alla rilevabilità di tale vizio di fabbricazione, da parte del datore di lavoro, mediante l’impiego della “ordinaria diligenza» (così alla p. 10 del ricorso), liquidando – ma, si sostiene, vagamente e soltanto in maniera superficiale – le doglianze difensive svolte in appello sul tema della agevole accertabilità o meno della mancanza di requisiti di sicurezza in un macchinario che risulta pacificamente dotato di marcatura CE, con ogni conseguenza in tema di affidamento del datore di lavoro acquirente del macchinario, per di più installato e collaudato da un esperto (il sig. C.) che aveva anche svolto, su incarico del datore di lavoro, proprio su tale macchinario una compiuta attività di formazione dei lavoratori.
Premesso che il reato non è prescritto, il ricorso è fondato e deve essere accolto.
La sentenza di appello risulta, come in effetti denunziato dal ricorrente, non solo eccessivamente stringata e superficiale, ma mancante di motivazione quanto alle articolate doglianze svolte in appello (v. pp. 5-10 dell’impugnazione di merito), incentrate sulla non evidenza ictu oculi del profilo di debolezza e di insicurezza di un macchinario che è stato acquistato dall’imputato provvisto di regolare marchio CE, che è stato collaudato ed installato da un esperto, il quale non ha mosso rilievi ed ha anche provveduto a fare formazione ai dipendenti e sulla differenza di poco più di un centimetro dell’intervento correttivo della struttura dell’imboccatura del macchinario imposto dalla A.S.L. dopo l’infortunio.
A fronte di serie censure difensive svolte in appello in maniera argomentata non sarebbe sufficiente richiamare il ben noto – e severo – principio di diritto in effetti esistente, secondo il quale «Il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza dell’ambiente di lavoro, è tenuto ad accertare la corrispondenza ai requisiti di legge dei macchinari utilizzati, e risponde dell’infortunio occorso ad un dipendente a causa della mancanza di tali requisiti, senza che la presenza sul macchinario della marchiatura di conformità “CE” o l’affidamento riposto nella notorietà e nella competenza tecnica del costruttore valgano ad esonerarlo dalla sua responsabilità» (Sez. 4, n. 37050 del 12/06/2008, Vigilardi e altro, Rv. 241020, in conformità v. Sez. 4, n. 26247 del 30/05/2013, Magrini, Rv. 256948; Sez. 4, n. 22249 del 14/03/2014, Enne e altro Rv. 259229), dovendo i Giudici di appello “calare” tale principio, al quale occorre certo dare continuità, nella concreta vicenda in esame e “misurasi” effettivamente con l’impugnazione.
Per contro, in sole due pagine e due righe (pp. 5-6 e prime due righe di p. 7) la sentenza impugnata si è limitata ad una insoddisfacente editio minor della – assai più ampia ed argomentata – decisione del Tribunale, sostanzialmente ignorando i rilievi difensivi svolti nell’impugnazione di merito.
Discende, di necessità, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze – altra Sezione.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Firenze. Fonte CassazioneWeb