Cassazione Penale, sentenza n. 36687 del 30 agosto 2019. Trapano a colonna privo di protezioni.

Trapano a colonna privo di protezioni. L’eventuale responsabilità del RSPP non fa venir meno la concorrente responsabilità del datore di lavoro se manca una corretta organizzazione aziendale.

Con la sentenza del 13 dicembre 2018, il Tribunale di Pordenone ha assolto A.G. dalla contravvenzione di cui all’art. 71, comma 1, d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, dichiarandolo non punibile per particolare tenuità del fatto. Il reato era stato contestato con riguardo alla messa a disposizione dei lavoratori della società di cui l’imputato era legale rappresentante con delega alla sicurezza ex art. 16 d.lgs. 81/2008 di un trapano a colonna privo di adeguate protezioni.

Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il difensore dell’imputato deducendo con unico motivo – premesso l’interesse ad impugnare la sentenza – la violazione dell’art. 43 cod. pen. ed il vizio di contraddittorietà della motivazione per essere stata ritenuta la mancata predisposizione di una organizzazione aziendale tale da impedire che fossero dai lavoratori utilizzati macchinari non a norma in contrasto con quanto emerso dalle prove assunte, in particolare dalla deposizione del teste GI., responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale aveva ricordato come l’imputato avesse organizzato un team di persone competenti per valutare la conformità delle attrezzature di lavoro ai requisiti di sicurezza. Nessuno aveva mai segnalato all’imputato la non conformità di quel trapano a colonna, ignorata anche dal menzionato RSPP, sì che, in un’organizzazione complessa come la società in questione – che all’epoca contava circa 400 dipendenti – alcun rimprovero per colpa poteva muoversi all’imputato, non avendo egli conoscenza, né conoscibilità, della situazione di difformità rispetto alla previsione normativa.

Va premesso che il ricorso proposto contro la sentenza che ha dichiarato l’imputato non punibile per particolare tenuità del fatto è ammissibile, pur non venendo qui in rilievo possibili profili di efficacia della stessa nel giudizio civile o amministrativo di danno. Non risulta infatti, ed il ricorrente non lo allega specificamente, alcuna concreta possibilità di radicamento di giudizi risarcitori rispetto al fatto contravvenzionale oggetto di processo, posto che in sentenza si dà atto dell’assoluzione dell’Imputato dal reato di lesioni colpose contestato, in altro procedimento, con riguardo all’infortunio occorso ad un dipendente nell’utilizzo del trapano a colonna in questione per ritenuta insussistenza di nesso causale, sicché è generico il riferimento fatto in ricorso, per giustificare l’interesse a ricorrere, alla previsione di cui all’art. 651 bis cod. proc. pen.

Per contro, è invece sufficiente ad integrare detto interesse la circostanza – parimenti allegata dal ricorrente – che la sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto pronunciata a seguito di accertamento dibattimentale dev’essere iscritta nel casellario giudiziale, ai sensi dell’art. 3, lett. f, d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, come modificato dall’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28. Diversamente dai provvedimenti di archiviazione adottati per tale ragione, che non rientrano nella richiamata previsione perché non definitivi (Sez. 5, n. 3817 del 15/01/2018, Pisani, Rv. 272282) e non radicano quindi un concreto interesse a ricorrere (Sez. 3, n. 30685 del 26/01/2017, Vanzo, Rv. 270247), l’iscrivibilità della sentenza dichiarativa della non punibilità per particolare tenuità del fatto integra gli estremi di un pregiudizio attuale che l’imputato ha interesse a rimuovere (cfr. Sez. 5, n. 48610 del 17/09/2018, M., Rv. 274144), così come, in situazione opposta, è stato affermato l’interesse del pubblico ministero a proporre impugnazione preordinata ad ottenere una diversa formula di proscioglimento che comporta l’iscrizione nel certificato del casellario giudiziale (Sez. 5, n. 40822 del 15/06/2017, C., Rv. 271424).

Passando al merito del ricorso, osserva il Collegio che lo stesso è infondato e va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, di recente ribadito alla luce delle considerazione svolte dalle Sezioni unite nella sent. n. 38343 del 24/04/2014, Espenhan e aa., Rv. 261108, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, anche nelle strutture aziendali complesse è configurabile la responsabilità del datore di lavoro – quale titolare della relativa posizione di garanzia, in quanto soggetto espressamente deputato alla gestione del rischio – in caso di mancanza dei dispositivi di sicurezza delle attrezzature, per inottemperanza agli obblighi previsti dalla legge, tra i quali vi è quello, nella specie contestato, di cui all’art. 71, comma 1, d.lgs. n. 81 del 2018 (Sez. 4, n. 52536 del 09/11/2017, Cibin, Rv. 271536; Sez. 4, n. 22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972).

Applicando correttamente detto principio, il giudice di merito ha ritenuto che l’imputato – essendo non soltanto datore di lavoro quale legale rappresentante della società, ma anche delegato ai sensi dell’art. 16 d.lgs. 81/2008 – non avesse predisposto un’organizzazione aziendale tale da impedire che fossero utilizzabili dai lavoratori macchinari non a norma e tale valutazione non è manifestamente illogica, né contraddittoria con la prova testimoniale asseritamente fatta oggetto di travisamento.

Il teste GI. – RSPP – ha bensì riferito che nella società amministrata dall’imputato, certamente da ritenersi organizzazione complessa in relazione alle dimensioni ed al numero dei lavoratori occupati, le questioni relative alla sicurezza del lavoro erano gestite da un team del quale erano parte diversi soggetti, tra cui, ovviamente, lo stesso RSPP, altri dirigenti, i preposti, oltre a consulenti esterni. Posto, tuttavia, che il teste non era stato in grado di riferire i dettagli con cui era stata dall’imputato organizzata la valutazione della conformità alla normativa dei macchinari utilizzati – e che neppure era stato in grado di riferire perché, e da quando, quel vecchio trapano a colonna sprovvisto delle precauzioni di sicurezza si trovava in tali condizioni – la valutazione del giudice di merito circa l’inidoneità di quel lavoro di squadra a garantire l’obbligo di sicurezza nella specie violato non è né illogica, né contraddittoria.

Che il RSPP GI. – come lui stesso ha riferito, ciò di cui il giudice ha tenuto conto – non fosse a conoscenza della non conformità di quella attrezzatura e non avesse pertanto posto ad essa rimedio, né segnalato la circostanza all’imputato, non vale ad escludere la responsabilità di quest’ultimo. Il fatto che nemmeno al GI. fosse stata segnalata tale non conformità – da non meglio identificati dirigenti e/o preposti che avrebbero dovuto farlo – non consente di ritenere che l’organizzazione al proposito adottata dall’imputato con l’ausilio dei suoi consulenti per rispettare gli obblighi di prevenzione fosse idonea, desumendosene semmai logicamente il contrario come correttamente ha fatto il giudice di merito.

D’altro lato, se il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri (Sez. 4, n. 11708 del 21/12/2018, David, Rv. 275279), l’eventuale responsabilità dello stesso RSPP non fa venir meno la concorrente responsabilità del datore di lavoro delegato alla sicurezza neppure quando dall’inadempimento consegua un infortunio (cfr. Sez. 4, n. 40718 del 26/04/2017, Raimondo, Rv. 270765; Sez. 4, n. 49821 del 23/11/2012, Lovison e aa., Rv. 254094), sicché certo non lo esonera dall’obbligo, che su di lui specificamente grava a norma dell’art. 71, d.lgs. 81 del 2008, di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature conformi ai requisiti di sicurezza. Contrariamente a quanto osserva il ricorrente a pag. 4 del ricorso, richiamando il disposto di cui all’art. 33 d.lgs. 81 del 2008, va pertanto certamente ribadito il principio secondo cui, in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, gli obblighi di vigilanza e di controllo gravanti sul datore di lavoro non vengono meno con la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, il quale ha una funzione di ausilio diretta a supportare e non a sostituire il datore di lavoro nell’individuazione dei fattori di rischio nella lavorazione, nella scelta delle procedure di sicurezza e nelle pratiche di informazione e di formazione dei dipendenti (Sez. 4, n. 50605 del 05/04/2013, Porcu, Rv. 258125; v. anche Sez. 4, n. 24958 del 26/04/2017, Rescio, Rv. 270286).

P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 29 maggio 2019

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