Cassazione Penale, sentenza n. 38402 del 9 agosto 2018 – Responsabilità di un medico competente
Cassazione Penale, sentenza n. 38402 del 9 agosto 2018 – Sorveglianza sanitaria e omessa collaborazione. Responsabilità di un medico competente
Con sentenza del 27 aprile 2017 il Tribunale di Pistoia, applicando i doppi benefici di legge, ha condannato M.B., nella qualità di medico competente della s.p.a. G. N., alla pena di euro 700 di ammenda per il reato di cui agli artt. 25, comma 1, lett. a), 41, comma 2, in relazione all’art. 58, comma 1, lett. c) d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81.
Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su quattro motivi di impugnazione.
Col primo motivo il ricorrente ha osservato che non era stata assunta prova decisiva del teste A., nonostante la citazione tempestivamente avvenuta (e della quale veniva prodotta copia della distinta resi, stante la compiuta giacenza). In relazione alla decisività dell’incombente, il ricorrente ha dedotto che il teste aveva partecipato alle riunioni nelle quali era stato discusso il documento di valutazione dei rischi, ed avrebbe potuto dare conto dell’attività di vigilanza sanitaria effettivamente svolta, mentre in giudizio non era stato neppure prodotto il verbale ispettivo, risultando del tutto insufficiente, al riguardo, la deposizione del teste del Pubblico Ministero. Sì che in ogni caso avrebbe dovuto darsi corso all’attività istruttoria, invece mancata, laddove la citazione del teste non comparso doveva ritenersi del tutto tempestiva.
Col secondo motivo il ricorrente ha ricordato che la legge non disciplinava le modalità con le quali avrebbe dovuto concretizzarsi la collaborazione del medico col datore di lavoro in relazione alla sorveglianza sanitaria dei dipendenti, e nel provvedimento impugnato la mancanza di collaborazione era stata ricondotta alla sola mancata sottoscrizione del documento di valutazione dei rischi, senza dare luogo ad alcuna attività istruttoria.
In ogni caso, poi, il sanitario non poteva essere chiamato a rispondere di eventi, quali la mancata visita di lavoratori interinali di cui il datore di lavoro non aveva comunicato l’esistenza al medico, che esulavano dalla sfera di conoscenza del professionista, né il medico aveva autonomi poteri nell’ambito aziendale, se non nei limiti di quanto comunicatogli dal datore di lavoro.
Col terzo motivo, in relazione all’errata applicazione della norma di cui agli artt. 25 e 41 del decreto legislativo n. 81 cit., nulla era dato sapere sull’infortunio che aveva coinvolto i lavoratori interinali, sì che non era possibile conoscere il nesso causale tra infortunio e mancata sottoposizione a visita medica preventiva.
Col quarto motivo infine il ricorrente ha rilevato che non vi era alcuna comunicazione del datore di lavoro circa la richiesta di intervento in conseguenza dell’utilizzazione dei lavoratori interinali successivamente infortunatisi. Al contrario, la sentenza impugnata aveva erroneamente posto in collegamento la mera sottoscrizione del documento di valutazione dei rischi con la responsabilità tout court del professionista.
Il Procuratore generale ha concluso nel senso del rigetto del ricorso.
Diritto
Il ricorso è infondato.
In relazione al primo motivo di impugnazione, va ricordato il costante principio secondo il quale la mancata riproposizione della richiesta di prova testimoniale, nel momento in cui sono rassegnate le conclusioni, implica rinuncia all’assunzione dell’incombente istruttorio.
In proposito, infatti, la dichiarazione di chiusura dell’Istruttoria dibattimentale, ove la parte presente non abbia eccepito il mancato esame di un testimone, comporta la revoca della ammissione di tale deposizione, ed eventuali nullità concernenti la suddetta deliberazione di esaurimento delle prove dovranno essere eccepite, a pena di decadenza, in sede di formulazione e precisazione delle conclusioni (Sez. 6, n. 42182 del 16/10/2012, Statella e altri, Rv. 254338)
Qualora il giudice dichiari invero chiusa la fase istruttoria senza che sia stata assunta una prova in precedenza ammessa e le parti, corrispondendo al suo invito, procedano alla discussione senza nulla rilevare in ordine alla incompletezza dell’istruzione, la prova in questione deve ritenersi implicitamente revocata con l’acquiescenza delle parti medesime (Sez. 5, n. 7108 del 14/12/2015, dep. 2016, Sgherri, Rv. 266076).
In specie, il provvedimento impugnato ha dato conto della revoca dell’ordinanza ammissiva del teste non comparso indicato dalla difesa (della cui corretta citazione non vi era prova), nonché della chiusura dell’istruttoria dibattimentale e del l’utilizzabilità degli atti acquisiti nel fascicolo del dibattimento. Né, al riguardo, vi è traccia di eccezioni processuali anteriormente alla chiusura del dibattimento ed alla precisazione delle conclusioni, nell’ambito delle quali l’odierno ricorrente aveva infatti formulato richiesta di assoluzione, nonché in subordine di applicazione del minimo della pena e di concessione dei benefici di legge.
In relazione al successivo motivo di ricorso, ed in tema di sicurezza sul lavoro, l’obbligo di collaborazione col datore di lavoro cui è tenuto il medico competente e il cui inadempimento integra il reato di cui agli artt. 25, comma primo, lett. a) e 58, comma primo, lett. c), del D.Lgs. n. 81 del 2008, non presuppone necessariamente una sollecitazione da parte del datore di lavoro, ma comprende anche un’attività propositiva e di informazione da svolgere con riferimento al proprio ambito professionale (Sez. 3, n. 1856 del 11/12/2012, dep. 2013, Favilli, Rv. 254268).
Invero è stato colà osservato che occorre innanzitutto non dimenticare che le finalità del d.lgs. 81/2008 sono quelle di assicurare la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro e che la valutazione dei rischi – definita dall’art. 2, comma 1, lett. q) del d.lgs. 81/2008 come la «valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza» – è attribuita dall’art. 29 del medesimo d.lgs. al datore di lavoro, per il quale costituisce, ai sensi dell’art. 17, un obbligo non derogabile. E’ evidente, avuto riguardo all’oggetto della valutazione dei rischi, che il datore di lavoro deve essere necessariamente coadiuvato da soggetti quali, appunto, il «medico competente», portatori di specifiche conoscenze professionali tali da consentire un corretto espletamento dell’obbligo mediante l’apporto di qualificate cognizioni tecniche. L’espletamento di tali compiti da parte del «medico competente» comporta un’effettiva integrazione nel contesto aziendale e non può essere limitato ad un ruolo meramente passivo in assenza di opportuna sollecitazione da parte del datore di lavoro, anche se il contributo propulsivo richiesto resta limitato alla specifica qualificazione professionale. Del resto, l’importanza del ruolo sembra essere stata riconosciuta dallo stesso legislatore il quale, nel modificare l’originario contenuto dell’art. 58, ha introdotto la sanzione penale solo con riferimento alla valutazione dei rischi. L’ambito della responsabilità penale resta confinato nella violazione dell’obbligo di collaborazione, che comprende anche un’attività propositiva e di informazione che il medico deve svolgere con riferimento al proprio ambito professionale ed il cui adempimento può essere opportunamente documentato o comunque accertato dal giudice del merito caso per caso. In ogni caso, in tema di valutazione dei rischi, il «medico competente» assume elementi di valutazione non soltanto dalle informazioni che devono essere fornite dal datore di lavoro, ma anche da quelle che può e deve direttamente acquisire di sua iniziativa, ad esempio in occasione delle visite agli ambienti di lavoro di cui all’art. 25, lettera I) o perché fornitegli direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria o da altri soggetti (cfr. in motivazione, Sez. 3 n. 1856 cit.).
4.2.1. Ciò posto, alcuna prova è stata somministrata circa l’attività concretamente svolta dal medico competente della s.p.a. G. C. N., laddove da un lato non risulta sottoscritto il documento di valutazione dei rischi, e dall’altro il teste assunto su istanza della stessa difesa aveva ricordato un’attività del tutto episodica di sorveglianza sanitaria.
Alla stregua pertanto dei principi richiamati, il ricorrente non ha in realtà fornito alcun riscontro di quello che avrebbe potuto essere l’adempimento di un obbligo di collaborazione, che non poteva – proprio per i richiamati rilievi, che questa Corte non può che ribadire – tradursi in una mera inerte attesa delle iniziative del datore di lavoro.
In conseguenza delle considerazioni che precedono, e proprio avuto riguardo alle finalità della normativa quanto alla tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, le omissioni hanno natura di reato permanente e di pericolo astratto, per cui – ai fini della configurazione – non era necessario che dalla violazione delle prescrizioni derivasse un danno alla salute o alla incolumità del lavoratore (cfr. Sez. 3, n. 6885 del 23/11/2016, dep. 2017, Gucciardi, Rv. 269253). Né, infatti, all’odierno ricorrente risulta ascritta responsabilità alcuna per il sinistro occorso ai due lavoratori stranieri, episodio dal quale aveva preso le mosse il procedimento penale.
In definitiva, pertanto, alcuna illogicità, ed ancor meno manifesta, si ravvisa nel provvedimento impugnato, ben avendo potuto semmai la parte interessata fornire la prova liberatoria, ovvero l’adempimento delle proprie obbligazioni, ovvero ancora l’impossibilità di adempiere, come ricordato dal richiamato precedente, senza limitarsi a concentrare le censure sulle condotte, in tesi omissive, del datore di lavoro.
I motivi di ricorso, che in realtà sono connessi perché riguardano tutti le medesime tematiche, rimangono assorbiti e sono pertanto infondati.
Ne consegue pertanto il complessivo rigetto del ricorso, tenuto conto della corretta applicazione di legge da parte del provvedimento impugnato, unitamente alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Fonte CassazioneWeb