Cassazione Penale: sentenza n. 39283 pubblicata il 30 agosto 2018 – Infortuni mortali. Valutazione dei rischi e obbligo di periodico aggiornamento del DVR.
Cassazione Penale: sentenza n. 39283 pubblicata il 30 agosto 2018. Scoppio nella fabbrica di vernici e morte di quattro operai. Valutazione dei rischi e obbligo di periodico aggiornamento del DVR.
- Con sentenza emessa in data 4 ottobre 2016, la Corte d’appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia resa dal Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, in data 16 dicembre 2012, ha rideterminato la pena inflitta agli imputati I.O.B., B.M., F.R. e B.D. in quella di anni due mesi tre di reclusione ciascuno ed all’imputato R.G. in quella di anni tre di reclusione.
I fatti oggetto del giudizio traggono origine dallo scoppio di un serbatoio (denominato B03) contenente azoto, avvenuto il 13 aprile 2003, collocato nella stabilimento industriale della soc. P. s.r.l. di Caivano, in seguito al quale decedevano M.F.A., DS.F., DC.V. (dipendenti della predetta società e addetti alla centrale termica) e M.G., tecnico manutentore della soc. A.L..
Gli aspetti più significativi della complessa vicenda illustrati in sentenza, riguardanti le cause dello scoppio ed i profili di responsabilità ravvisati dai giudici di merito a carico degli imputati possono essere così riassunti.
L’incidente si verificava nell’impianto di produzione e stoccaggio di azoto della soc. A. L. che era ubicato in un’area recintata posta all’interno dello stabilimento della soc. P.
L’impianto forniva azoto che era immesso nel gasdotto della stabilimento P. dove era utilizzato per vari processi chimici ed era composto da un generatore di azoto denominato “AMSA/FLOXAL” che produceva azoto allo stato gassoso. L’azoto prodotto dal generatore confluiva nel serbatoio interessato dallo scoppio, costruito in acciaio e carbonio, destinato a contenere solo azoto gassoso. All’interno di tale serbatoio non confluiva solo l’azoto generato dall’apparecchiatura AMSA/FLOXAL ma anche altro azoto gassoso proveniente da due serbatoi criogenici che conservavano azoto liquido. Prima di essere immesso nel serbatoio B03, l’azoto liquido era sottoposto ad un processo di vaporizzazione in un apposito apparecchio (detto scambiatore o evaporatore) che produceva azoto gassoso di purezza maggiore di quello dell’AMSA-FLOXAL. Lo scambiatore era formato al suo interno da una serpentina nella quale era immesso l’azoto liquido che veniva riscaldato attraverso acqua. Altri elementi dell’impianto risultati significativi per la ricostruzione del fatto erano il regolatore di pressione “T.” ed il suo by-pass. La valvola “T.” aveva la funzione di regolare l’afflusso di azoto tra il vaporizzatore ed il serbatoio.
Quando la soc. P. richiedeva maggiore azoto nei suoi reparti, superiore alla portata massima del generatore AMSA\FLOXAL, si verificava un progressivo svuotamento del serbatoio-polmone, con il conseguente effetto di una riduzione della sua pressione. Alla maggiore richiesta di azoto si sopperiva con l’azoto proveniente dall’impianto criogenico attraverso il vaporizzatore. Quando la pressione del serbatoio-polmone si abbassava al di sotto del livello- bar prestabilito, si verificava l’apertura del riduttore di pressione T. che consentiva l’afflusso di azoto gassoso dal vaporizzatore. Quando l’aumento di pressione nel serbatoio raggiungeva un determinato livello, la valvola T.si chiudeva impedendo il passaggio di ulteriore azoto gassoso dall’evaporatore. Il regolatore di pressione T.i era dotato di un by pass, munito di valvola di intercettazione, che permetteva comunque il passaggio di azoto gassoso anche in caso di scollegamento del regolatore di pressione.
Secondo la ricostruzione offerta dai giudici di merito in ordine alle cause dello scoppio, l’esplosione del serbatoio fu una conseguenza del ghiacciamento del vaporizzatore.
Sulla base degli elementi emersi nel corso della complessa istruttoria, confortati dalla consulenza del P.M., la Corte territoriale, conformemente al primo giudice, ha ritenuto che la causa dell’incidente dovesse essere ricercata nel cattivo funzionamento dell’evaporatore che era deputato a trasformare l’azoto liquido in gassoso. In ragione dell’eccessivo afflusso di azoto liquido nel vaporizzatore si verificò un progressivo ghiacciamento dell’evaporatore e della valvola “T.” che determinò l’Ingresso di azoto liquido nel serbatoio, ad una temperatura stimata intorno a -160°/-170°. Il serbatoio B03 che era stato progettato per contenere materiale ad una temperatura non inferiore a -10 gradi, subì un cedimento strutturale dovuto al depositarsi sul fondo della sostanza liquida che si trovava ad una temperatura di molto inferiore a quella sopportabile per la struttura.
I giudici della cognizione hanno condiviso la impostazione accusatoria ed i profili di responsabilità descritti nelle imputazioni elevate a carico degli imputati, tutti esponenti di vertice della società A. L. e responsabili della unità tecnica operativa locale.
Alla luce delle emergenze processuali e sulla base degli apporti tecnici e scientifici ricavati dalla consulenza svolta dall’Ing. L.F. e dal Prof. P.C., consulenti nominati dal P.M., i giudici di merito hanno ritenuto che l’aspetto critico nella gestione della sicurezza da parte dei soggetti garanti, fosse da ricercare nella natura ibrida dell’impianto di produzione dell’azoto e nella mancanza di adeguati sistemi di allarme ed accorgimenti atti a segnalare ed impedire il passaggio dell’azoto liquido nel serbatoio-polmone. Ciò era risultato evidente anche in considerazione di precedenti episodi, richiamati nelle sentenze di merito, in occasione dei quali si era già verificato il ghiacciamento dell’evaporatore, della valvola T. e di parte dello stesso serbatoio.
Tali episodi di “ghiacciamento” erano accaduti il 25 dicembre 1997 ed il 13 agosto 2002. In ordine al primo episodio, verificatosi quando già era installato il sistema Floxal, è stata raccolta in dibattimento la testimonianza di I.D., responsabile della manutenzione degli impianti della P., che ha dichiarato che il ghiacciamento era stato completo, avendo interessato l’evaporatore e tutto il sistema a valle. Era stata avvertita in tale occasione la soc. A.L. che aveva “suggerito” di usare acqua per riscaldare il blocco di ghiaccio che si era formato. Quanto all’episodio del 13 agosto del 2002, dal rapporto di intervento redatto da S.N., è emerso che si era verificato il ghiacciamento dell’evaporatore, della valvola T. (trovata ghiacciata e aperta) ed anche di metà serbatoio B03. La causa del ghiacciamento era stata individuata nella mancanza di afflusso di acqua nel vaporizzatore.
Secondo i giudici di merito i predetti episodi avrebbero dovuto costituire per la società A.L. un grave e significativo campanello di allarme di una situazione di alto rischio che, tuttavia, non indusse ad adottare alcun intervento risolutivo.
- In ordine alle singole posizioni ed ai profili di responsabilità individuati a carico di ciascun imputato, salvo quanto si dirà in modo particolareggiato in prosieguo, la Corte di merito ha posto in evidenza i seguenti aspetti.
Con riferimento ad I.O.B., Direttore Generale della soc. A. L. a fare data dal 1999, la Corte territoriale, conformandosi alla decisione del primo giudice ha ritenuto di rilevante importanza ai fini della pronuncia di responsabilità dell’imputato la procura conferitagli in data 27 giugno 2001 allorquando, fermi restando i poteri inerenti alla carica di Direttore generale, gli erano stati attribuiti specifici compiti di vigilanza e di controllo in materia di sicurezza sul lavoro. Tale previsione, in assenza di deleghe conferite ad altri, avrebbe determinato il suo diretto coinvolgimento nei fatti, avendo egli assunto una posizione di garanzia che gli avrebbe imposto di sollecitare o disporre autonome verifiche sulla sicurezza dell’impianto.
Con riferimento alla posizione di R.G., la Corte stessa ha evidenziato come costui, in qualità di direttore e responsabile della struttura territoriale interessata dallo scoppio del serbatoio, godesse di ampia autonomia gestionale, anche in relazione ad aspetti relativi alla sicurezza degli impianti e prevenzionistici, essendogli state conferite espresse deleghe in materia (tra cui quella rilasciatagli in data 27 settembre 1995 che attribuiva al R.G., nell’ambito delle mansioni assegnategli, pieni poteri gestionali, autonomia finanziaria ed una delega in materia di sicurezza sul lavoro del tutto analoga a quella conferita al direttore di divisione). In qualità di datore di lavoro e responsabile dell’unità operativa di Napoli, relativamente all’impianto esistente presso la P. di Caivano, aveva redatto e sottoscritto in data 20\6\99, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, F.R., il documento di valutazione dei rischi, ai sensi dell’allora vigente art. 4 d.lgs 626\94, nell’ambito del quale il rischio scoppio per bassa temperatura veniva ritenuto “non credibile” e, pertanto, fortemente sottovalutato.
Ha rilevato la Corte territoriale che il R.G. si era astenuto dall’effettuare una qualunque attività di verifica, interlocuzione e controllo circa le esigenze manutentive insorte nell’impianto, trascurando in particolare di valutare le implicazioni delle frequenti interruzioni del sistema AMSA-FLOXAL, più volte verificatesi nel corso del funzionamento dell’impianto. Ha evidenziato altresì che il R.G. non si era attivato per interessare i vertici dell’azienda in ordine agli inconvenienti rilevati nell’impianto ed al disuso dell’unico elemento dì allarme di bassa temperatura collegato ad esso, oggetto di specifica segnalazione, risalente all’ottobre 2002, effettuata dal tecnico M.G., deceduto nel tragico evento.
Con riferimento alla posizione di F.R. e B.D. la Corte di merito ha evidenziato come costoro, in qualità di tecnici responsabili dell’unità operativa, essendo referenti diretti dei rapporti di manutenzione ed organizzatori delle attività che riguardavano gli interventi tecnici da operarsi sull’impianto per mantenerlo in condizione di efficienza, avrebbero dovuto segnalare ai superiori le caratteristiche degli interventi che venivano eseguiti sull’impianto, onde consentire un adeguato monitoraggio del suo funzionamento, tanto più che erano emerse ripetute necessità di taratura della valvola e blocchi frequenti del sistema AMSA FLOXAL, durati anche molte ore.
Quanto alla posizione di B.M., quale Direttore dell’Attività Gas e Servizi della Soc. A.L. Italia srl, si evidenzia in sentenza che il predetto aveva sottoscritto la “Convenzione di fornitura per azoto floxal” stipulata tra la A.L. e la P. il 10 maggio 1996. Tale convenzione prevedeva la duplice modalità di produzione dell’azoto, destinato a confluire nel medesimo serbatoio-polmone, il quale tuttavia era strutturalmente inidoneo a sopportare temperature inferiori ad una determinata soglia, poiché realizzato in acciaio al carbonio e non in acciaio inossidabile. L’affermazione di responsabilità pronunciata a suo carico è stata ricondotta alla posizione di garanzia derivante dalla delega allo stesso conferita in data 24 giugno 1994, in ragione della quale, le unità operative locali, tra cui quella di Napoli, rispondevano al predetto. Tale delega prevedeva in capo al B.M. anche poteri di controllo in materia di sicurezza.
- Avverso la sentenza di condanna hanno proposto ricorso per Cassazione gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.
Gli imputati, direttore generale della Soc. A. L., e B.D., responsabile tecnico dell’unità operativa di Napoli della medesima società , hanno proposto separati ricorsi nei quali tuttavia sono contenuti motivi di doglianza comuni. Tali motivi possono essere riassunti come segue.
3.1 Con il primo motivo di ricorso, la difesa deduce la indeterminatezza del capo di imputazione evidenziando violazione di legge per inosservanza dell’art. 429, comma primo, lett. c) cod. proc. pen., tempestivamente eccepita innanzi al giudice di primo grado che l’aveva rigettata e riproposta innanzi alla Corte d’appello.
Si legge nell’atto di ricorso che il capo A) della imputazione del decreto di citazione a giudizio per il quale è stata confermata la pronuncia di condanna di primo grado a carico di entrambi i ricorrenti, vedeva originariamente imputati 14 soggetti “ciascuno nella rispettiva qualità sopra indicata”. Tali qualità , tuttavia, non erano specificate, per cui non era possibile evincersi quali cariche o mansioni avessero ricoperto e svolto. Tale omissione appare particolarmente grave e pregiudizievole per i diritti della difesa, considerato che neppure una lettura complessiva delle imputazioni consente di comprendere, secondo la prospettazione difensiva, a quale titolo le numerose violazioni delle norme antinfortunìstiche, indistintamente contestate a tutti gli imputati, siano riferibili a ciascuno.
La Corte d’appello aveva ritenuto di superare l’eccezione affermando che si trattava di qualità ben note a ciascun imputato, anche in relazione alla durata della carica. Quanto poi ai profili di colpa, gli stessi sarebbero stati portati a conoscenza dei ricorrenti in quanto, ciò che rileva ai fini dell’esercizio del diritto di difesa è che l’imputato sia stato posto in condizione di conoscere tutti gli estremi dei comportamenti colposi evincibili dagli atti processuali.
Tale motivazione, secondo la difesa, sarebbe del tutto illogica e sarebbe stata assunta in violazione di legge. Non è sostenibile, si legge nei ricorsi, che la conoscenza delle proprie qualità e funzioni aziendali da parte degli imputati, sopperisca al criterio normativo della enunciazione in forma chiara e precisa del capo di imputazione. La indicazione del fatto contestato e delle qualità personali dell’imputato, è atto che compete all’Accusa e che deve essere adeguatamente esplicitato, non potendo pretendersi che alla sua mancanza debba supplire lo stesso imputato.
La Corte d’appello ricorrerebbe ad un fallace criterio di risoluzione della questione, affermando che si versa in un caso di errore materiale, poiché le qualità degli imputati erano riportate nella richiesta di rinvio a giudizio e non erano state trascritte nel decreto che dispone il giudizio. A tale errore avrebbe posto rimedio il P.M., facendo legittimamente ricorso all’art. 516 cod. proc. pen.
Ebbene, secondo la difesa, tale assunto non sarebbe condivisibile: il tentativo di sanare il decreto di citazione nullo attraverso l’espediente della modifica integrativa del capo di imputazione oltre a configurarsi come atto abnorme, rivelerebbe la incompletezza originaria del decreto di citazione a giudizio. Innanzi a tale incompletezza, il giudice, in ossequio all’art. 429, comma 2, cod. proc. pen., avrebbe dovuto restituire gli atti al giudice dell’udienza preliminare applicando la disciplina dettata dagli artt. 177 e seguenti cod. proc. pen.
Con riferimento all’art. 516 cod. proc. pen., ricorda la difesa, la Corte di cassazione, con sentenza n. 23832 del 12/5/2016, ha escluso che davanti al giudice del dibattimento possa trovare applcazione tale disciplina in presenza di una eccezione riguardante la indeterminatezza del capo di imputazione, sanzionata con la nullità dall’art. 429 comma 2, cod. proc. pen.
Si fa poi osservare, con particolare riferimento alla posizione di B.D. che, anche a seguito della modifica dell’imputazione avvenuta ad opera del P.M. ai sensi dell’art. 516 cod. proc. pen., permane la condizione di indeterminatezza del capo di imputazione, non essendo stato precisato l’ambito temporale nel quale il B.D. avrebbe rivestito la posizione aziendale oggetto di contestazione.
3.2 Con il secondo motivo, la difesa deduce vizio motivazionale, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità delle argomentazioni poste a sostegno della ricostruzione dell’incidente occorso.
Secondo la prospettazione difensiva lo scoppio del serbatoio si sarebbe verificato non a causa di un malfunzionamento del vaporizzatore V 1000, come si legge nel capo di imputazione, ma a causa di una utilizzazione del vaporizzatore al di sopra delle sue capacità di riscaldamento, avvenuta attraverso un consumo eccessivo e del tutto straordinario dell’azoto proveniente dalla linea criogenica, da parte della società P.
Tale elevatissimo consumo avvenne attraverso la manomissione della valvola T. con apertura del by pass di cui la valvola era dotata. L’intervento modificò radicalmente l’impostazione di funzionamento dell’impianto vanificando le misure di prevenzione e protezione che erano state adottate da parte dei responsabili dell’azienda.
Tali aspetti, mal valutati dai giudici di merito, avrebbero avuto, secondo la prospettazione difensiva, una incidenza determinante sul legame causale tra le condotte contestate nel capo di imputazione e l’evento per cui è processo.
Sul punto, la Corte d’appello avrebbe espresso una motivazione insoddisfacente, escludendo l’ipotesi della manomissione sulla base della semplice considerazione che essa sarebbe “contraria ad ogni logica” e sottraendosi all’applicazione di un adeguato giudizio controfattuale.
I giudici di merito, in modo illogico ed arbitrario, avrebbero eliminato le specifiche cause prospettate dalla difesa nella ricostruzione del determinismo dell’evento, rendendo viziata ab origine la costruzione di tutto il ragionamento seguito.
Nel dettaglio, avrebbero trascurato di considerare che il Comandante dei Vigili del Fuoco, incaricato della messa in sicurezza dell’impianto, aveva riferito che non era stata riscontrata alcuna avaria del vaporizzatore (l’impianto, una volta scongelato, aveva ripreso a funzionare senza alcun intervento di riparazione) e che, dopo l’incidente il riduttore di pressione era stato ritrovato con i bulloni di serraggio allentati, tanto da potere essere ruotati senza l’ausilio di alcuna attrezzatura. Fonte CassazioneWeb
Leggi sentenza 39283 del 30 agosto 2018