Cassazione Penale sentenza n. 8854 del 23 febbraio 2018 – Responsabilità del Datore di lavoro
Responsabilità del datore di lavoro per non aver esteso adeguatamente il ponteggio montato per i lavori edili.
Con sentenza in data 10.7.2017 il Tribunale di Asti, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., ha assolto F. D. dal reato di cui all’art. 111, comma 1, lett. b), in relazione all’art. 159, lett. c), d. Lgs. 81/2008, perché, in qualità di datore di lavoro della sua impresa individuale, non aveva esteso adeguatamente, al fine di garantire la sicurezza contro i rischi di caduta dall’alto, il ponteggio montato per effettuare i lavori di ripassatura del tetto su un edificio a due piani, ………
Con un unico motivo di ricorso, il Pubblico ministero presso il Tribunale di Asti, premesso che i fatti sono pacifici, ritiene non convincente la motivazione sull’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. Il Tribunale aveva osservato che la condotta non era connotata da particolare pericolosità o riprovevolezza, ma che le modalità dell’azione potevano essere definite ingenue e basilari, al limite del grossolano, certamente non di elevato potenziale offensivo e sicuramente tenui; si era trattato di un’omissione di minimo rilievo, dovuta a verosimile leggerezza ed insuscettibile di arrecare un concreto pregiudizio alla collettività.
Afferma che la prima parte della valutazione di “tenuità” era stata espressa in chiave negativa sicché la motivazione era del tutto apparente; la seconda proposizione sulle modalità dell’azione risentiva dello stesso difetto di metodo (cioè dover indicare circostanze positivamente esistenti e non far leva sull’assenza di elementi specifici), dall’altro aveva utilizzato concetti “ingenue e basilari, al limite del grossolano”, non pertinenti rispetto all’accertata violazione della norma di sicurezza sul lavoro. Lamenta che il Giudice aveva affermato che il fatto non aveva arrecato un concreto pregiudizio o un danno apprezzabile, circostanze entrambi inconferenti. Infatti, quella contestata era una contravvenzione ascrivibile alla categoria dei reati di pericolo presunto o astratto, sicché per la sua consumazione era del tutto irrilevante che in concreto si fosse verificato un evento lesivo o fosse stata effettivamente messa a repentaglio la vita dei lavoratori. Ritiene che per valutare la modalità della condotta di siffatto reato bisognava ricercare elementi di fatto del tutto diversi, e cioè che a) il rischio della caduta dall’alto era bassissimo, b) che la parte di ponteggio non montato era esigua, c) che i lavori senza ponteggio erano durati pochissimo. Il Tribunale non aveva svolto accertamenti in merito, limitandosi ad esprimere una valutazione in ordine ad un profilo del tutto estraneo alla tipicità del fatto contestato. Altrettanto irrilevante era il fatto che il pagamento della sanzione fosse intervenuto con un ritardo di soli 20 giorni. Premesso che tale ritardo non escludeva il reato, il ragionamento del Tribunale confondeva due piani diversi: altro era l’oggettiva tenuità del fatto concreto commesso prima di essere sanato a seguito dell’intervento dell’organo di vigilanza, altro era il pagamento tempestivo della sanzione che rappresentava uno dei due presupposti per l’estinzione del reato. Inoltre, del tutto inconferente era il riferimento all’intensità del dolo, trattandosi di un reato contravvenzionale, ed alla circostanza che il dolo era da considerarsi attenuato dal fatto che l’imputato era un soggetto di giovane età, titolare di un’impresa di ridotte dimensioni, con scarsa dimestichezza con le procedure burocratiche e sanzionatorie della Pubblica amministrazione, ivi compresa la scarsa percezione del disvalore connesso al ritardato pagamento.
Chiede pertanto l’annullamento della sentenza impugnata con i provvedimenti consequenziali.
L’imputato deposita una memoria il 5.1.2018 in cui sostiene a) che il Pubblico ministero non poteva impugnare ai sensi degli art. 591, 569 e 593 c.p.p. perché le censure sollevate non riguardavano una prova decisiva ai sensi dell’art. 603, comma 2, c.p.p.; b) che il ricorso era aspecifico; c) che le censure sollevate riguardavano la motivazione della sentenza più che i vizi di cui all’art. 606, comma 1, lett. c), c.p.p., con la conseguenza che il ricorso doveva convertirsi in appello. (Fonte Sentenze WEB)