Inadeguata formazione per svolgere il ruolo di RSPP e omessa formazione dei lavoratori

Cassazione Penale, sentenza n. 19457 del 18 maggio 2021. Assenza dell’adeguata formazione per svolgere il ruolo di responsabile per la prevenzione e protezione rischi e omessa formazione dei lavoratori.

 

1. Con sentenza del 22/6/2020, il Tribunale di Potenza dichiarava J.X. colpevole di varie contestazioni di cui al d. lgs. n. 81 del 2008, commesse nella qualità di legale rappresentante della ditta “C. M. di J.X.”, e lo condannava alla pena di settemila euro di ammenda.
2. Propone appello l’imputato, poi convertito in ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento della pronuncia. Il Tribunale non avrebbe valutato alcune testimonianze favorevoli al ricorrente, e tali da imporne l’assoluzione, così come avrebbero mal interpretato quelle rese dai verbalizzanti. Errata, ancora, sarebbe la motivazione quanto al diniego dell’istituto di cui all’art. 131-bis cod. pen. e delle circostanze attenuanti generiche.

3. Il gravame risulta manifestamente infondato.
4. Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 593, comma 3, cod. proc. pen., sono inappellabili le sentenze di condanna con le quali è stata applicata la sola pena dell’ammenda, come nel caso di specie; ne consegue che – qualora tale impugnazione sia invece proposta – deve verificarsi l’effettiva possibilità di convertire l’atto di appello in ricorso per cassazione, analizzando il concreto contenuto dello stesso e la natura delle doglianze ivi sollevate. In particolare, la Corte di appello – prescindendo da qualsiasi analisi valutativa in ordine alla indicazione di parte, se frutto cioè di errore ostativo o di scelta deliberata – deve limitarsi a prendere atto della voluntas impugnationis (elemento minimo che dà esistenza giuridica all’atto proposto) e trasmettere gli atti al Giudice competente (in tal senso, Sez. U, n. 45371 del 31/10/2011, Bonaventura, Rv. 220221; tra le altre, successivamente, Sez. 5, n. 7403 del 26/9/2013, Bergantini, Rv. 259532; Sez. 1, n. 33782 dell’8/4/2013, Arena, Rv. 257117); questa Corte di legittimità, di seguito, deve invece verificare se le doglianze proposte con il gravame siano comunque inquadrabili nella cornice di cui all’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., avendo riguardo – al di là dell’apparente nomen iuris – alle reali intenzioni dell’impugnante ed all’effettivo contenuto dell’atto di gravame, con la conseguenza che, ove dall’esame di tale atto si tragga la conclusione che l’impugnante abbia effettivamente voluto ed esattamente denominato il mezzo di impugnazione non consentito dalla legge, l’appello deve essere dichiarato inammissibile (Sez. U, n. 16 del 26/11/1997, n. Nexhi, Rv. 209336; Sez. 2, n. 47051 del 25/9/2013, Ercolano, Rv. 257481; Sez. 5, n. 35442 del 3/7/2009, Mazzola, Rv. 245150).
5. Tanto premesso in generale, osserva il Collegio che proprio in questi ultimi termini si atteggia l’impugnazione proposta dallo J.X., che – richiamando specifiche emergenze istruttorie, di natura testimoniale – tende ad ottenere in questa sede una diversa e più favorevole valutazione di merito del materiale probatorio; valutazione, tuttavia, non consentita a questa Corte.
6. A ciò si aggiunga, peraltro, che il Tribunale ha riconosciuto la responsabilità del ricorrente con motivazione più che adeguata e logica, fondata su oggettivi esiti dibattimentali e priva di aporie di sorta; una motivazione, in particolare, che ha evidenziato che lo J.X., nella qualità, non aveva frequentato i corsi di formazione necessari per svolgere il ruolo di responsabile per la prevenzione e protezione rischi, né aveva assicurato ad una dipendente la necessaria formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Quel che, peraltro, era ben emerso dalle dichiarazioni dei testi di accusa, non adeguatamente sconfessati da quelli della difesa (“alquanto lacunosi e imprecisi”), ed era stato indirettamente riconosciuto anche dall’imputato, che aveva successivamente comunicato di aver ottemperato alle prescrizioni.
7. Con riguardo, poi, alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., la stessa è stata esclusa ancora con motivazione adeguata, sul presupposto che le modalità delle condotte – plurime – ed il pericolo che ne era derivato per la salute dei lavoratori non potevano consentire di applicare la norma.
8. Da ultimo, quanto alle circostanze attenuanti generiche, queste sono state negate sul presupposto dell’assenza di elementi positivamente valutabili; elementi, peraltro, non evidenziati neppure nell’atto di appello, che richiama esclusivamente lo stato di incensuratezza dello J.X., normativamente insufficiente – da solo – per il riconoscimento delle stesse attenuanti.
5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Fonte: CassazioneWeb

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