Cassazione Penale sentenza n. 16147 del 28 aprile 2021 – Lesioni gravi e responsabilità del preposto.

 

Con la sentenza in epigrafe, emessa a seguito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Forlì ha condannato C.R. alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi due di reclusione ed euro mille di multa, in relazione al reato di cui all’art. 590, comma terzo, cod. pen. (perché, in qualità di preposto della ditta G. A. srl, cagionava lesioni al lavoratore J.N. – con le aggravanti dell’avere cagionato lesioni gravi ai sensi dell’art. 583, comma primo, n. 1, cod. pen. e con violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro – in S. Mauro Pascoli il 31 luglio 2015.

2. Il C.R., a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo sette motivi di impugnazione.
2.1. Si deduce la violazione dell’art. 41 cod. pen., avendo il Giudice operato una mera equivalenza tra la qualità di preposto al cantiere e esistenza della posizione di garanzia, senza verificare che vi fosse stata una delega con la messa a disposizione degli strumenti tecnici e il conferimento di poteri necessari per potersi attivare in relazione all’infortunio in esame,
1.2. Il ricorrente si duole della violazione dell’art. 40 cod. pen. in relazione al nesso causale tra la condotta omissiva addebitata all’imputato e l’evento lesivo.
1.3. Il ricorrente si duole della violazione dell’art. 590, comma terzo, cod. pen.. Il Giudice, si assume in ricorso, richiama una presunta consapevolezza di una prassi senza affrontare il tema della violazione colposa della norma cautelare necessaria per individuare la responsabilità sotto il profilo soggettivo.
1.4. Si deduce la violazione dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., avendo il Giudice omesso qualsiasi valutazione in merito alle prove acquisite su richiesta della difesa, segnatamente della documentazione INAIL.
1.5. Il ricorrente si duole della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., nella parte in cui la sentenza impugnata disconosce la valenza del suindicato documento senza fornirne le ragioni.
1.6. Si deduce la violazione degli artt. 132 e 590, comma 3, cod. proc. pen. in relazione alla pena, avendo il Giudice applicato congiuntamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, nonostante fossero previste alternativamente.
1.7. Si deduce la violazione dell’art. 438 c.p.p. non risultando operata la riduzione per il rito abbreviato.

Diritto

1. Il ricorso deve essere convertito in appello e pertanto va disposta la trasmissione degli atti alla Corte di Appello di Bologna per l’ulteriore corso.

2. La fattispecie in esame concerne una sentenza appellabile e, pertanto, un ricorso per saltum ai sensi dell’art. 568, comma 3, cod. proc. pen..
Deve tuttavia rilevarsi che i primi cinque motivi di ricorso, sebbene formalmente rubricati dalla difesa come altrettante violazioni di legge, in realtà contengono plurime censure consistenti, tra l’altro, in critiche all’apparato argomentativo della sentenza e, in particolare: a) col primo, si contesta l’esito della prova testimoniale dalla quale era desunta la qualifica di preposto del C.R.; b) con il secondo, si deduce l’omessa motivazione circa la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta ascritta all’imputato e l’evento che si ritiene accaduto alla persona offesa; c) con il terzo, il ricorrente si duole dell’insufficiente motivazione in tema di sussistenza dell’elemento psicologico del reato; d) col quarto e col quinto, si censura l’omessa valutazione di una prova documentale e di prove testimoniali e di altra natura.
Ebbene, ai sensi dell’art. 568, comma 3, cod. proc. pen. il ricorso per saltum non è ammesso nei casi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. e, in tali casi, il ricorso eventualmente proposto si converte in appello.
Invero, la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha ripetutamente affermato che il ricorso immediato per Cassazione è ammissibile solo per vizi di pura legittimità; e che, con tale gravame, sono proponibili solo motivi diversi da quelli previsti dalle lettere sub d) e sub e) dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen..
Consegue che il ricorso per Cassazione, proposto dall’imputato, che contenga – come nella specie – tra i motivi anche la censura di cui all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., per carenza di motivazione, non può essere presentato per saltum, ma deve essere convertito in appello, ai sensi dell’art. 569, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 4, Ord. n. 27243 del 16/09/2020, Arcovio, non massimata; Sez. 3 n. 48978 dell’08/10/2014, De Boni, Rv. 261208; Sez. 6, n. 26419 del 03/07/2012, Laurito, Rv. 253122), ostandovi il generale principio della osservanza dei gradi della giu­ risdizione (Sez. 1, n. 48139 del 10/12/2008, Alias Zaratye, Rv. 242789).
Già in precedenza, peraltro, si era evidenziato che, nell’ipotesi in cui l’impugnazione proposta fosse non quella ordinaria ma quella eccezionale del ricorso per saltum, la Corte di Cassazione dovesse dapprima interpretare la volontà della parte, per stabilire di quale mezzo avesse realmente inteso avvalersi, ed in caso di dubbio dovesse privilegiare il tipo ordinario di gravame (Sez. 3, n. 3135 del 13/02/1991, Pezzi, Rv. 186599, in fattispecie relativa a ricorso del pubblico ministero in appello, rilevando che il ricorso era basato anche su circostanze di fatto).
3. Tutte le doglianze proposte in ricorso andranno conseguentemente valutate dal giudice di appello, cui vanno trasmessi gli atti.

P. Q. M. Converte il ricorso in appello e dispone trasmettersi gli atti alla Corte di appello di Bologna per l’ulteriore corso.

Fonte: CassazioneWeb.      Photo by Mateus Campos Felipe on Unsplash

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