Manomissione del dispositivo “blocco-chiave” e infortunio.
Cassazione Penale, sentenzan. 9739 del 11 marzo 2021 – Manomissione del dispositivo “blocco-chiave” e infortunio. Responsabilità del datore di lavoro e del preposto.
La Corte d’appello di Bologna, in data 18 giugno 2019, ha confermato la sentenza con la quale, il 5 giugno 2016, il Tribunale di Modena aveva condannato M.G. e M.C. (nella qualità, rispettivamente, di legale rappresentante della Officine Meccaniche xxxxx e di dipendente esercente la qualità di preposto) per il delitto di lesioni personali colpose con violazione di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contestato come commesso in San Cesario S.P. il 9 gennaio 2012 in danno di A.B..
Questi, da pochi giorni assunto quale dipendente dalla predetta società, era stato assegnato ad operare con una macchina di grandi dimensioni denominata centro di lavoro verticale CNC YYYYYYYYYY il macchinario era dotato di sportelli attraverso i quali dovevano essere introdotti i pezzi da sottoporre alla lavorazione, che si svolgeva poi all’interno della macchina dopo la chiusura dei predetti sportelli; nelle normali condizioni di funzionamento, quando la macchina è in azione essa rimane completamente chiusa. In occasione dell’infortunio, all’A.B. era caduto un pezzo all’interno della macchina, cosicchè egli fermava il funzionamento della stessa azionando un apposito tasto – denominato “blocco singolo”) ed apriva uno degli sportelli, introducendosi poi all’interno del macchinario per prelevare il pezzo. Improvvisamente però la macchina ripartiva e in tal modo, secondo l’assunto accusatorio, essa avrebbe cagionato al lavoratore le gravi lesioni di cui in rubrica.
Il funzionamento anomalo del macchinario ha formato oggetto di accertamenti da parte del tecnico della USL M., il quale – secondo quanto riportato in sentenza – aveva tratto la conclusione che la macchina – che risultava manomessa in alcune componenti, in particolare in un dispositivo “blocco-chiave” posizionato su uno degli sportelli – presentasse un difetto di funzionamento; che, nell’occorso, l’A.B. avesse bloccato la macchina con la leva laterale posizionata sul quadro comandi ed avesse poi aperto lo sportello; e che nonostante ciò la macchina avesse ripreso a funzionare automaticamente.
L’addebito al M.G. e al M.C., nella loro qualità, consiste nel non avere praticato la necessaria manutenzione sulla macchina e nel non avere fornito al lavoratore le istruzioni necessarie; quanto al M.C., l’A.B. ha riferito che costui, in una precedente occasione, lo aveva redarguito perché il lavoratore lo aveva chiamato per recuperare un oggetto caduto all’interno del macchinario: in quell’occasione lo stesso M.C., secondo l’A.B., si era introdotto nella macchina aprendo lo sportello dopo averne fermato il funzionamento mediante l’apposito tasto di stop.
La Corte felsinea, valorizzando in particolare la deposizione del teste M. dell’USL ai fini della ricostruzione della vicenda, ha disatteso le lagnanze del M.G. (secondo il quale l’incidente era dovuto ad un comportamento abnorme della persona offesa, che aveva aperto lo sportello della macchina dopo averlo forzato; e vi erano anche dubbi circa la ricostruzione della serie causale culminata con l’infortunio) e quelle del M.C. (il quale, oltre a sostenere a sua volta la natura abnorme della condotta dell’A.B., lamentava di non avere mai avuto compiti di manutenzione della macchina e di avere unicamente impartito le necessarie istruzioni al lavoratore).
Avverso la prefata sentenza ricorrono sia il M.G. che il M.C..
Il ricorso del M.G. consta di due motivi.
Con il primo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione all’elemento psicologico del reato in capo al M.G.: all’uopo riporta uno stralcio dell’atto d’appello, nel quale si sosteneva la natura abnorme della condotta dell’A.B. e l’assenza di colpe da parte del datore di lavoro, che aveva affiancato la persona offesa con un preposto ed aveva inoltre adottato tutte le iniziative perché le lavorazioni si svolgessero in sicurezza (compreso l’affidamento della manutenzione ordinaria e straordinaria delle macchine) e perché tutti i rischi presenti nel luogo di lavoro fossero valutati. Su tali aspetti, denuncia l’esponente, la Corte di merito non ha speso una parola.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole del vizio di motivazione della sentenza a proposito del nesso causale tra la condotta censurata e l’evento lesivo: si duole in particolare il deducente dell’acritica credibilità prestata al racconto del lavoratore, laddove egli afferma di avere aperto lo sportello senza particolare difficoltà: in realtà, tale affermazione collide con quanto dichiarato dal teste M. dell’USL, il quale ha riferito di avere aperto lo sportello, in sede di prove, al decimo tentativo, di tal che – prosegue l’esponente, richiamandosi alle dichiarazioni del M. – non risponde a verità l’assunto secondo il quale l’assenza del blocco-chiave avrebbe agevolato l’apertura dello sportello. Ed ancora e soprattutto, continua il ricorrente, lo stesso M. ha escluso che il lavoratore avesse subito le lesioni nel contesto da lui descritto, ma probabilmente in un’altra fase, non essendo dette lesioni compatibili con quella delineata nell’accusa.
Il ricorso del M.C. si affida a tre motivi.
Con il primo motivo si lamenta vizio di motivazione con riferimento alla credibilità accordata alle dichiarazioni dell’A.B., alla non abnormità della sua condotta secondo la Corte di merito e al fatto che sia stato ravvisato il nesso di causalità tra le condotte contestate e l’evento: oltre a riportare le dichiarazioni rese in aula dallo stesso M.C., che smentiscono quanto asserito dal lavoratore circa il fatto che l’imputato in precedenza si sarebbe comportato in modo analogo, vengono proposte nel motivo in esame considerazioni non dissimili a quelle già viste nel ricorso del M.G. – alle quali perciò si rinvia – in ordine alle difficoltà di apertura dello sportello da parte del teste M. in sede di prove e all’irrilevanza dell’assenza del blocco-chiave. All’uopo vengono anche richiamate le considerazioni svolte dal consulente di parte ing. L.. Vengono inoltre smentite le dichiarazioni della persona offesa circa la mancanza di formazione sulle mansioni da svolgere e in materia di sicurezza.
Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione in relazione all’accertamento delle modalità con cui il lavoratore si sarebbe procurato le lesioni: si richiamano brevemente le censure mosse alla sentenza in ordine all’efficienza causale dell’accaduto ai fini del prodursi delle lesioni di cui in rubrica, sulla base delle dichiarazioni del teste M., in termini analoghi a quelli già visti nel secondo motivo del ricorso M.G., cui si rinvia.
Con il terzo motivo si lamenta vizio di motivazione a proposito della rimproverabilità della carenza di manutenzione della macchina al M.C.: il macchinario era stato venduto dalla Overmach di Parma, che si occupava anche della manutenzione straordinaria ed alla quale l’USL si era infatti rivolta per il ripristino della situazione quo ante del macchinario stesso; quanto alla manutenzione ordinaria, essa veniva effettuata direttamente dai dipendenti ed era normalmente praticata (ciò che è confermato anche dal teste R., che aveva mansioni di R.S.P.P.), ma si trattava di cosa diversa dagli interventi legati alla rottura delle attrezzature, per le quali occorreva chiamare la ditta fornitrice.
I ricorsi – che possono congiuntamente esaminarsi, avendo affrontato aspetti in larga parte comuni ad entrambi – non possono qualificarsi come manifestamente infondati, con la conseguenza che lo spirare del termine di prescrizione determina l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per l’intervenuta estinzione dei reati.
La Corte di merito, con il proprio percorso argomentativo, ricostruisce, in sostanza, unicamente le cause tecniche dell’accaduto – collegate, in motivazione, alla rimozione volontaria del dispositivo di blocco che, ove presente, avrebbe impedito l’apertura della porta e l’accesso alle parti in movimento del macchinario – ma nulla dice né sulla riferibilità soggettiva della rimozione, né sull’ordinario funzionamento della funzione di blocco della macchina in caso di necessità, né sull’accertamento soggettivo dei doveri di manutenzione ordinaria e straordinaria, né sulla possibilità che avrebbe avuto il personale dipendente, incaricato della manutenzione ordinaria, di rilevare il guasto.
Fra l’altro, risulta evidente che l’apertura dello sportello dopo avere azionato la funzione di blocco, diversamente da quanto descritto dalla persona offesa, è risultata oltremodo difficoltosa anche per il tecnico USL M. (il quale è riuscito nell’operazione dopo svariati tentativi), con la conseguenza che rimane priva di spiegazioni univoche la possibilità di accedere al macchinario solo rimuovendo il blocco-chiave.
Ed ancora, il percorso motivazionale della sentenza impugnata è francamente carente a proposito dello sviluppo causale che avrebbe condotto al trauma di schiacciamento a carico dell’A.B.: la sentenza impugnata dà, sì, conto del fatto che, secondo il tecnico dell’USL, l’infortunio si sarebbe verificato non già nel contesto descritto dal lavoratore, ma in un’altra fase operativa; ma, senza ulteriori spiegazioni, conclude che ciò non inciderebbe sulla ricorrenza del reato. Non vengono inoltre in alcun modo menzionati, neppure per superarli, gli elementi probatori indicati a contrario nei ricorsi (e precedentemente negli atti d’appello).
A fronte di tali manchevolezze argomentative, nonchè delle possibili ricostruzioni alternative dell’accaduto, la Corte di merito omette di chiarire per quali ragioni il verificarsi dell’incidente sarebbe attribuibile al M.G. (quale datore di lavoro) e al M.C. (preposto, chiamato in causa esclusivamente dalla persona offesa).
Quanto al M.G., l’attribuzione di responsabilità da parte della Corte felsinea risulta priva di spiegazioni attinenti al presunto venir meno dei suoi doveri datoriali. E’ noto che, in tema di infortuni sul lavoro, il datore di lavoro può assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi (cfr. Sez. 4 – , Sentenza n. 14915 del 19/02/2019, Arrigoni, Rv. 275577); è altresì noto che, in materia, è generalmente riconducibile alla sfera di responsabilità del preposto l’infortunio occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa, a quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa e a quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo (Sez. 4, Sentenza n.22606 del 04/04/2017, Minguzzi, Rv. 269972), con la conseguenza che la posizione di garanzia datoriale non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni. Risulta nella specie che il M.G., oltre ad avere designato un RSPP (nella persona dell’ing. Pietrantonio R., sentito -quale teste), avesse assegnato all’A.B. un preposto (nella persona del M.C.) ed avesse concordato con la ditta fornitrice del macchinario l’assunzione, da parte di quest’ultima, dei compiti di manutenzione straordinaria del macchinario stesso, mentre della manutenzione ordinaria si occupavano i dipendenti; nulla invece viene chiarito, nella sentenza impugnata, a proposito della conoscenza o della conoscibilità della manomissione o del malfunzionamento del macchinario da parte del M.G., nella sua posizione datoriale.
Per quanto riguarda il M.C., la Corte di merito ha fatto totale ed esclusivo affidamento sulle dichiarazioni rese dall’A.B., secondo il quale sarebbe stato lo stesso M.C. a mostrargli come accedere al macchinario bloccando la macchina e aprendo lo sportello, e ad intimargli di non chiamarlo più per simili esigenze. A parte ogni considerazione circa la mancata valorizzazione delle dichiarazioni di segno opposto rese a sua discolpa dal M.C., manca nella sentenza impugnata un’accurata valutazione critica delle affermazioni della persona offesa, la cui attendibilità in alcune parti della sua deposizione presenta qualche zona d’ombra anche alla luce della stessa lettura della sentenza, specie laddove egli riferisce di avere aperto lo sportello senza sforzo: circostanza che, come si è visto, risulta smentita da quanto accertato dal tecnico USL M.. Oltre a ciò, nel percorso argomentativo della sentenza impugnata non è dato ravvisare alcun elemento di prova né a proposito della riferibilità soggettiva al M.C. della rimozione del dispositivo di blocco – chiave, né nel senso della riconducibilità dell’accaduto a una sua carenza nella manutenzione ordinaria o nella vigilanza della lavorazione.
Poiché però – come già detto – il reato contestato risulta estinto per il decorso del tempo, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio agli effetti penali per essere i reati rispettivamente ascritti agli imputati estinti per prescrizione.
Le statuizioni civili vanno revocate, tenuto conto che la parte civili, nelle more del giudizio di appello, in data 6\5\2019, ha revocato la costituzione.
P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, agli effetti penali, per essere i reati rispettivamente ascritti agli imputati estinti per prescrizione.