Responsabilità del socio unico quale datore di lavoro di fatto
Cassazione Penale, sentenza n. 10143 del 16 marzo 2021 – Arco voltaico da contatto tra braccio della gru e linea elettrica. Responsabilità del socio unico di capitali quale datore di lavoro di fatto.
La Corte d’appello di Napoli, in data 6 novembre 2018, ha parzialmente riformato – dichiarando estinti per prescrizione i reati contravvenzionali e confermandola nel resto – la sentenza con la quale il Tribunale di Torre Annunziata, il 17 dicembre 2015, aveva condannato A.V. alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni civili in relazione al reato p. e p. 589, commi 1, 2 e 4 in relazione all’art. 590, comma 1, 2, 3 e 5, e 113 cod. pen., contestato come commesso in Castellammare di Stabia il 16 febbraio 2009 (omicidio colposo in danno di V.V. e lesioni personali colpose in danno di G.DM.).
L’episodio per cui é processo può riassumersi come segue: le due persone offese, dipendenti della ditta C. Roma s.r.l. (della quale l’imputato era socio unico di capitali), stavano eseguendo operazioni di movimentazione di un gruppo motore idraulico che doveva essere prelevato con apposita gru, manovrata dal G.DM., mentre il V. V. eseguiva le operazioni da terra; a un tratto, il braccio della gru si avvicinava alla linea elettrica aerea dell’alta tensione, generando un arco voltaico che cagionava la morte per folgorazione del V. V. e lesioni gravissime al G.DM. (amputazione della gamba destra).
Il V.A., che era anche conduttore del fondo utilizzato come deposito attrezzi della società, risponde dell’infortunio nella qualità anzidetta (socio unico di capitali della C.) e in relazione alla sua posizione di datore di lavoro di fatto. La Corte di merito ha disatteso i motivi d’appello riferiti, nell’essenziale, alla posizione di garanzia dell’imputato, ravvisando in capo al medesimo una sostanziale immedesimazione con la società e un ruolo di diretta gestione dei lavoratori, delle loro assunzioni e delle loro mansioni, di tal che egli doveva rispondere delle gravi manchevolezze registrate nel cantiere: in particolare é stata evidenziata la mancanza assoluta del documento di valutazione dei rischi, a fronte della presenza di una linea elettrica aerea che comportava rischi di contatto nell’ambito dell’attività lavorativa ivi svolta. Né rilevava, a favore del V. A., l’avere conferito delega al coimputato T.E. ai fini della sicurezza sul lavoro, restando in capo al datore di lavoro (anche di fatto) l’obbligo di accertarsi dell’effettivo adempimento delle prescrizioni normative. Del pari era imputabile al V.A. la mancanza assoluta di formazione ed informazione dei lavoratori in ordine ai rischi dell’ambiente di lavoro in cui erano chiamati a operare.
Avverso la prefata sentenza ricorre il V. A., con atto articolato in due motivi di doglianza.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla posizione attribuita al V.A.: non si é tenuto conto, nella sentenza impugnata, che egli – in quanto socio unico di capitali – non aveva alcun ruolo nell’amministrazione e nella gestione della società, atteso che tale ruolo era attribuito a T.E., direttore unico del cantiere (separatamente giudicato) e che, accanto a quest’ultimo, l’istruzione dibattimentale aveva consentito di individuare un’altra figura di soggetto responsabile nella persona del geometra F. P., il quale rivestiva la posizione di preposto. Ne deriva che non é stata fornita alcuna, benché sintetica, motivazione della rilevanza causale della condotta contestata al V. A. e l’incidente occorso ai due lavoratori. Viceversa, secondo il ricorrente la responsabilità dell’accaduto deve attribuirsi al T.E. e al F.P.; e, per quanto in particolare riguarda il T.E., la delega a lui conferita – stante la sua indiscussa competenza e qualificazione tecnica – lo poneva nelle condizioni di assumere la qualità di garante dell’obbligo di assicurare la sicurezza del lavoro.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen.. Dopo avere operato un richiamo ad alcune massime giurisprudenziali, il deducente evidenzia, quanto alle attenuanti generiche, il mancato rilievo dato dalla Corte di merito all’assenza di precedenti penali e di carichi pendenti; e, quanto all’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., il rilievo affatto marginale del suo contributo causale, definibile perciò come di minima importanza rispetto a quello attribuibile agli altri soggetti responsabili, in primo luogo al T.E..
Il primo motivo é infondato.
La posizione di garanzia del V.A., in base a quanto emerge dalla sentenza impugnata e dalle emergenze probatorie ivi descritte, é quella del datore di lavoro di fatto: la Corte di merito infatti (pag. 5 sentenza) evidenzia che l’odierno ricorrente é stato indicato come proprio datore di lavoro da più di uno dei lavoratori che hanno deposto avanti il Tribunale (G.DM., C.), e che il teste R. ha riferito di essere stato assunto dal V.A. con il quale fece il colloquio di lavoro e che gli indicò le mansioni da svolgere. Le direttive sul lavoro da svolgere il mattino dell’incidente erano state impartite dall’imputato (é, ancora, il G.DM. a riferirlo). Inoltre, l’utilizzo del deposito da lui condotto in locazione da parte della C. non é stato formalizzato da alcun atto di cessione, ciò che é stato correttamente ritenuto sintomatico del grado di immedesimazione fra la figura del V. A. e quella della predetta società.
Si rammenta in proposito che, ai sensi dell’art. 299, d.lgs. 81/2008, «Le posizioni di garanzia relative ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), d) ed e), gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti ivi definiti»; e che, in forza di tale previsione, in base al principio di effettività, assume la posizione di garante colui il quale di fatto si accolla e svolge i poteri del datore di lavoro, del dirigente o del preposto (da ultimo Cass. Sez. 4, Sentenza n. 22079 del 20/02/2019, Cavallari, Rv. 276265; e Sez. 4, n. 31863 del 10/04/2019, Agazzi, Rv. 276586); ciò in quanto la posizione di garanzia – che può essere generata da investitura formale o dall’esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garante – deve essere individuata accertando in concreto la effettiva titolarità del potere-dovere di gestione della fonte di pericolo, alla luce delle specifiche circostanze in cui si é verificato il sinistro (Sez. 4, n. 57937 del 09/10/2018, Ferrari, Rv. 274774), perché l’individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto, ossia alla sua funzione formale (Sez. 4, Sentenza n. 10704 del 07/02/2012, Corsi, Rv. 252676).
Ora, non pare dubbio che le prerogative assunte dal V.A. nella gestione delle assunzioni e nell’assegnazione delle mansioni, unitamente alla informale messa a disposizione della società di un fondo da lui personalmente locato quale deposito di attrezzi, depongano per l’appunto per la sua veste di datore di lavoro dì fatto; e, a ben vedere, anche la stessa delega conferita a T.E. ai fini della sicurezza del lavoro é indice della sua posizione apicale nell’ambito della struttura aziendale; e, conseguentemente – per quanto in precedenza evidenziato – dei relativi obblighi di garanzia, fra i quali rientra anche la redazione del documento di valutazione dei rischi, che il V.A. non ha mai elaborato, così violando un suo specifico dovere di garante. Al riguardo si rammenta che, in tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all’ambiente di lavoro, e, all’esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall’art. 28 del D.Lgs. n. 81 del 2008, all’interno del quale é tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori (Sez. 4, n.20129 del 10/03/2016, Serafica e altro, Rv. 267253).
A proposito, poi, della delega conferita dal V.A. al T.E., va ricordato che, in materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, fermo restando, comunque, l’obbligo, per il datore di lavoro, di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive (Sez. 4, n. 24908 del 29/01/2019, Ferrari, Rv. 276335). Di tal che il ricorrente, diversamente da quanto da lui prospettato, era tenuto comunque a esercitare i suoi compiti datoriali di vigilanza sul soggetto da lui delegato: ciò che evidentemente non ha fatto, alla luce della evidente presenza di un cavo dell’alta tensione che sovrastava la zona dei lavori nei quali era previsto l’utilizzo di una gru, in ordine alla cui esecuzione egli stesso aveva per di più dato personalmente disposizioni.
Il secondo motivo é manifestamente infondato. Quanto al diniego delle attenuanti generiche, l’elevato grado della colpa e l’alta prevedibilità dell’evento – elementi obiettivamente riconoscibili nell’accaduto e nella condotta omissiva tenuta dal V.A. – costituiscono indici validi, riconducibili all’art. 133 cod. pen., ai fini del mancato riconoscimento delle predette circostanze; é noto, del resto, che, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione é insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017 – dep. 22/09/2017, Pettinelli, Rv. 27126901). Quanto, poi, al diniego dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., si ricorda che, ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione di cui all’art. 114 cod. pen., non é sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto é necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037); ed é evidente che la riconosciuta posizione apicale e datoriale assunta di fatto dal V.A., unitamente al complesso di circostanze risultanti dall’istruzione dibattimentale, escludono che al medesimo possano assegnarsi una posizione e un ruolo inquadrabili nella suddetta circostanza attenuante.
A fronte di quanto precede, deve tuttavia constatarsi, quanto al delitto di lesioni in danno di G.DM., che per detto reato é decorso il termine di prescrizione. Invero occorre muovere dalla considerazione che, in tema di omicidio colposo, la fattispecie disciplinata dall’art. 589 u.c. cod. pen. (morte di più persone, ovvero morte di una o più persone e lesioni di una o più persone) non costituisce un’autonoma figura di reato complesso, né dà luogo alla previsione di circostanza aggravante rispetto al reato previsto dall’art. 589, comma primo, cod. pen., ma prevede un’ipotesi di concorso formale di reati, unificati solo quoad poenam, con la conseguenza che ogni fattispecie di reato conserva la propria autonomia e distinzione (Sez. 4, Sentenza n. 20340 del 07/03/2017, Monnet, Rv. 270167).
Ulteriore conseguenza di ciò é che il termine di prescrizione del reato va computato con riferimento a ciascun evento di morte o di lesioni, dal momento in cui ciascuno di essi si é verificato (ex multis vds. Sez. 4, Sentenza n. 36024 del 03/06/2015, Del Papa e altro, Rv. 264408). E poiché il delitto di lesioni colpose in danno del G.DM. si prescrive, nel massimo, in sette anni e sei mesi (per il combinato disposto degli articoli 157 e 161 cod.pen. ), pur a fronte dei (pervero numerosi) fatti sospensivi intervenuti nel corso del giudizio, il delitto medesimo – avuto riguardo alla sua data di commissione – é ad oggi prescritto.
Trattandosi di ricorso che non può dirsi manifestamente infondato in tutti i motivi, la sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio in relazione al delitto di lesioni colpose di cui al capo 1 (art. 590 c.p.) perché estinto per prescrizione; e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli limitatamente alla determinazione della pena per il residuo delitto di omicidio colposo di cui al capo 1 (art. 589 c.p.). Il ricorso va per il resto rigettato.
P.Q.M Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al delitto di lesioni colpose di cui al capo 1 (art. 590 c.p.) perché estinto per prescrizione; annulla la medesima sentenza limitatamente alla determinazione della pena per il residuo delitto di omicidio colposo di cui al capo 1 (art. 589 c.p.) con rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta il ricorso nel resto. Fonte CassazioneWeb